Cardiorete 2011


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Oltrona Visconti

LA TERAPIA ANTIAGGREGANTE NELLE SINDROMI CORONARICHE ACUTE IN UTIC E DOPO ANGIOPLASTICA

Marco Ferlini, Luigi Oltrona Visconti.
Divisione di Cardiologia, IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo, Pavia



Introduzione
L'attivazione e l'aggregazione delle piastrine giocano un ruolo chiave nel mantenere l'emostasi, e in condizioni patologiche nel causare la formazione di trombi. La trombosi a livello coronarico rappresenta il meccanismo determinante le sindromi coronariche acute (SCA) e in caso di rivascolarizzazione percutanea rappresenta la principale causa di complicanze ischemiche quali nuovi infarti e trombosi di stent (1). Da questi presupposti fisiopatologici deriva l'importanza di una adeguata terapia antipiastrinica nel trattamento delle SCA e nell'angioplastica coronarica. I farmaci antipiastrinici attualmente disponibili comprendono l'acido acetilsalicilico che inibisce l'aggregazione piastrinica bloccando la COX-1, le tienopiridine (ticlopidina, clopidogrel, prasugrel) e il ticagrelor che inibiscono l'aggregazione bloccando l'ADP, e gli anti-Gp IIbIIIa che bloccano il recettore finale della aggregazione delle piastrine attivate (2). Il fatto che questi farmaci inibiscano l'aggregazione attraverso differenti vie ne consente un utilizzo concomitante con una efficacia di tipo additivo, tanto che una doppia antiaggregazione è diventata di routine nel trattamento delle SCA (3).

Antipiastrinici per via orale
L' aspirina (ASA) si è dimostrata efficace nel ridurre del 46% gli eventi vascolari in pazienti con angina instabile come evidenziato dalla metanalisi dell' Antithrombotic Antiplatelet Trialist Collaboration (4), seppur con un significativo aumento dei sanguinamenti in particolare a livello del tratto gastro-intestinale (5).
I benefici dell'uso della ticlopidina in associazione all'ASA sono stati evidenziati(6); tuttavia il suo utilizzo è limitato dalla necessità di assunzione due volte al giorno, dalla bassa tollerabilità gastro-intestinale, dalle reazioni cutanee e dalla possibilità di sviluppare aplasia midollare (7).
Il clopidogrel, che agisce come antagonista irreversibile del recettore piastrinico per l'ADP, rispetto alla ticlopidina, presenta un ridotto numero di effetti collaterali e viene assunto in un' unica dose. Nelle SCA, ne viene raccomandata la somministrazione di una dose di carico (300 o 600 mg) seguita da un trattamento (75 mg/die) a lungo termine per almeno 12 mesi, in aggiunta ad aspirina (3). Gli studi che hanno fatto assumere a clopidogrel il ruolo chiave nella gestione delle sindromi coronariche acute sono stati il CURE e il PCI-CURE (8-9).
Lo studio CURE (Clopidogrel in Unstable Angina to Prevent Ischemic Events), è stato condotto in oltre 12.000 pazienti con infarto miocardico senza persistente sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) randomizzati a ricevere, in aggiunta ad ASA, clopidogrel (dose di carico 300 mg all'entrata nello studio e successivamente 75 mg al giorno per un follow-up massimo di 1 anno) o placebo. L'aggiunta di clopidogrel alla terapia standard si è associata a una riduzione di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardio ed ictus del 20%, altamente significativa (p=0.00009), con benefici indipendenti dal grado di rischio del paziente o dalle altre terapie concomitanti.
Lo studio PCI-CURE ha invece considerato i pazienti arruolati nel CURE che hanno avuto necessità di rivascolarizzazione coronarica. Questo gruppo di pazienti è stato sottoposto a pretrattamento con clopidogrel o placebo per una mediana di 6 giorni prima dell'intervento di angioplastica (PCI) e, dopo 2-4 settimane di trattamento con una tienopiridina in aggiunta ad ASA in aperto, hanno assunto ancora per 3-12 mesi la terapia sperimentale assegnata in precedenza. Al termine del follow-up si è avuta una riduzione significativa del 31% della morte cardiovascolare e dell'infarto miocardico (p=0.002), senza che si siano rilevate differenze significative, rispetto al gruppo placebo, negli episodi di sanguinamento maggiore (p=0.64).
La validità del trattamento a lungo termine con clopidogrel in pazienti sottoposti a PCI è stata confermata anche in un altro studio, il CREDO (Clopidogrel for the Reduction of Events During Observation), studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha coinvolto 2116 pazienti trattati o con dose di carico di 300 mg di clopidogrel o con placebo dalle 3 alle 24 ore prima della PCI (10). Dopo l'intervento tutti i pazienti hanno ricevuto, in aggiunta ad ASA, clopidogrel alla dose di 75 mg/die fino al ventottesimo giorno, quindi i pazienti che erano nel gruppo clopidogrel hanno continuato ad assumere il farmaco alla dose di 75 mg/die o placebo per 1 anno. Al termine dello studio i pazienti trattati con clopidogrel per 12 mesi hanno beneficiato di una riduzione significativa del 27% (p=0.02) del rischio relativo combinato di morte, infarto miocardico o ictus rispetto al trattamento con clopidogrel di soli 28 giorni.
Nello studio CURE il rischio globale di sanguinamenti minori è risultato superiore del 38% con la duplice antiaggregazione rispetto alla sola somministrazione di aspirina. Tale rischio è stato evidenziato soprattutto in pazienti sottoposti a bypass aortocoronarico entro 5 giorni dalla sospensione della somministrazione di clopidogrel. Tuttavia nell' intera popolazione, che comprendeva anche pazienti sottoposti a rivascolarizzazione, il beneficio complessivo del trattamento è stato dimostrato essere superiore rispetto agli effetti collaterali (21 eventi coronarici evitati al costo di 7 eventi avversi ogni 1000 pazienti). Vi è comunque l'indicazione a sospendere, quando possibile, la somministrazione di clopidogrel almeno 5 giorni prima dell' intervento di bypass.
Il clopidogrel presenta tuttavia alcuni limiti che dipendono dalla sua farmacodinamica. Una volta assorbito, viene idrolizzato (passaggio che ne determina l'inattivazione di circa l'85%) e poi attivato con 2 passaggi dipendenti dal citocromo epatico (11): ciò spiega il lento raggiungimento e la elevata variabilità individuale dell'effetto antiaggregante. Un crescente numero di studi ha evidenziato come una bassa risposta all'effetto del clopidogrel si associ ad un aumento di eventi avversi e trombosi intrastent (12-13) e come alcune classi di farmaci come gli inibitori della pompa protonica metabolizzati dagli stessi citocromi, ne riducano l'efficacia (14).
Per cercare di ridurre tali limiti sono stati utilizzati dosaggi più alti del farmaco. Lo studio Current OASIS 7 ha confrontato un dosaggio maggiore di carico e mantenimento (600 mg seguito da 150 mg/die per 7 giorni) con il dosaggio abituale (300 mg seguito da 75 mg/die) in circa 25000 pazienti con SCA trattati sia in modo conservativo che invasivo (15). Il dosaggio maggiore non ha ridotto l'incidenza di eventi cardiovascolari e ha determinato un aumento dei sanguinamenti; solo nel sottogruppo di pazienti sottoposti a PCI è emerso un beneficio. Sulla base di queste conclusioni un dosaggio più elevato non appare raccomandato.
Il prasugrel viene rapidamente idrolizzato a livello intestinale e nel sangue, e poi attivato a livello epatico da un singolo citocromo. Le sue caratteristiche farmacocinetiche determinano una inibizione irreversibile della aggregazione piastrinica più rapida e superiore di rispetto al clopidogrel. Nello studio PRINCIPLE-TIMI 44 una dose di carico di 60 mg seguita da 10 mg/die di prasugrel è stata confrontata con clopidogrel 600 mg seguita da 150 mg/die in pazienti sottoposti a PCI: il prasugrel ha determinato una inibizione della aggregazione piastrinica significativamente superiore rispetto al clopdigrel già dopo 30 minuti dalla somministrazione (16).
La maggior parte dei dati clinici sul prasugrel derivano dallo studio di fase III TRITON-TIMI 38. In questo trial, 13608 pazienti con SCA [angine instabili, NSTEMI e infarto miocardico con persistente sopraslivellamento del tratto ST (STEMI)] a rischio medio-alto e PCI programmata sono stati randomizzati a clopidogrel (300 mg seguito da 75 mg/die) vs prasugrel (60 mg seguito da 10 mg/die). Il prasugrel ha determinato una significativa riduzione dell'end-point primario (morte per cause CV, infarti non fatali e stroke non fatali) e una marcata riduzione delle trombosi intrastent, a spese però di un significativo aumento dei sanguinamenti sia spontanei (maggiori e minori) che correlati ad intervento di by pass aorto-coronarico. Il maggior tasso di sanguinamento si è verificato dopo 30 giorni di trattamento e in particolare in alcune sottocategorie di pazienti: quelli con pregresso noto TIA/stroke, quelli con età > 75 anni e quelli di peso < 60 kg (17). Di contro, il maggior grado di inibizione di aggregazione raggiunto, ha fatto si che il farmaco sia risultato particolarmente efficace in alcune sottocategorie di pazienti a rischio particolarmente alto di eventi CV: quelli con diabete mellito (18) e quelli con STEMI trattato con angioplastica primaria (19). In quest'ultimo gruppo, il beneficio non è stato gravato da un maggior tasso di sanguinamenti ed stato evidente in particolare nei pazienti con sede anteriore dell'infarto, indipendentemente dall'uso di anti Gp IIbIIIa. Il concomitante utilizzo di gatroprotettori inibitori della pompa protonica inoltre non ha influenzato l'efficacia del farmaco (20).
Sulla base delle evidenze attualmente disponibili, le Linee guida della ESC sulla rivascolarizzazione miocardica conferiscono al prasugrel una classe IIa con livello di evidenza B per i pazienti con NSTEMI e una classe I con livello di evidenza B per i pazienti con STEMI, ad eccezione in entrambi i casi di quelli con pregresso TIA/stroke, con età > 75 anni e di peso < 60 kg (21).
Il ticagrelor è un inibitore reversibile del recettore piastrinico P2Y12, il medesimo sul quale agiscono il clopidogrel. e il prasugrel che hanno però una azione antipiastrinica irreversibile. Il ticagrelor per le sue caratteristiche farmacocinetiche è in grado di determinare una molto rapida (2-4 ore) inibizione della aggregazione piastrinica pari al 85-95%; la reversibilità della sua azione fa si che altrettanto rapidamente ne svanisca l'effetto dopo l'ultima somministrazione (22-23).
Lo studio PLATO ha confrontato il ticagrelor (carico 180 mg seguito da 90 mg x 2/die) vs clopidogrel (carico 300-600 mg seguito da 75 mg/die) in oltre 18000 pazienti con SCA. Il ticagrelor si è dimostrato più efficace in termini di riduzione di morte da causa vascolare e infarti. Per quanto riguarda invece la sicurezza, i due farmaci non hanno mostrato differenze in termini di sanguinamenti maggiori: tuttavia i sanguinamenti non correlati a by pass aorto-coronarico e i sanguinamenti fatali intracranici sono risultati maggiori nei pazienti trattati con ticagrelor; i sanguinamenti fatali non-intracranici sono risultati maggiori invece in chi aveva assunto clopidogrel. I due effetti collaterali principali del ticagrelor sono stati la dispnea (che tuttavia ha causato la sospensione del farmaco in meno dell'1% dei casi) e le pause ECG maggiori di 3 sec (24). Sono stati inoltre analizzati alcuni sottogruppi dello studio PLATO: i pazienti con diabete mellito (25), i pazienti con STEMI (26), i pazienti con insufficienza renale cronica (27) e i pazienti trattati con approccio invasivo pianificato (28). I risultati di queste analisi sono risultati sovrapponibili a quelli della popolazione totale dello studio sia in termini di efficacia che in termini di sanguinamenti. Al contrario, confrontando i pazienti arruolati negli USA con quelli arruolati negli altri Stati il ticagrelor presenta una efficacia inferiore rispetto al clopidogrel, che però non raggiunge la significatività statistica. Non si può escludere che la differenza sia dovuta al caso. È da notare inoltre che le due popolazioni presentavano numerosità differenti (1413 negli USA vs 17211) e che nei pazienti americani più del 50% dei pazienti ha assunto una dose di ASA > 300 mg/die, assunta solo nell'1.7% dei pazienti degli altri stati (29).
Seppur non ancora disponibile in Italia per la pratica clinica quotidiana le Linee guida della ESC sulla rivascolarizzazione miocardica danno al ticagrelor un'indicazione di classe I con livello di evidenza B per le SCA sia STEMI che NSTEMI (21).

Antagonisti dei recettori piastrinici glicoproteici IIb/IIIa
I farmaci di questa classe si legano al recettore piastrinico GpIIbIIIa e bloccano il passaggio finale della catena dell'attivazione-aggregazione piastrinica. Questi antiaggreganti non sono disponibili per la somministrazione orale, ma solo per quella endovenosa. I tre inibitori disponibili nella pratica clinica sono l'anticorpo monoclonale abciximab e le piccole molecole di sintesi eptifibatide e tirofiban.
Le maggiori evidenze che supportano questa classe di farmaci derivano da studi sulle SCA trattate con angioplastica coronarica (PCI). Il loro ruolo è stato ampiamente ridimensionato da quando sono disponibili nella pratica clinica le tienopiridine somministrate con dose di carico.
In metanalisi oramai datate, l'uso degli antiGp IIbIIIa ha determinato una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori e della mortalità nel breve e nel medio termine (30-31) con un uso delle tienopiridine dopo impianto di stent coronarico.
Nello studio ISAR-REACT 2, che ha arruolato pazienti con SCA sottoposti PCI e che avevano ricevuto una dose di carico di 600 mg di clopidogrel, l'aggiunta dell'abciximab ha determinato un modesto beneficio solo nei pazienti che al momento dell'arruolamento avevavo un aumento degli enzimi miocardio-specifici (32). Il beneficio degli antiGp IIbIIIa, appare pertanto limitato qualora venga somministrata una dose di carico di clopidogrel solo alle SCA che presentano un maggior profilo di rischio.
E' stato poi ampiamente dibattuto quale sia il "timing" ottimale per l'utilizzo di questi farmaci nelle SCA-NSTEMI: se sia cioè meglio iniziare il trattamento in reparto o in Unità Coronarica (UTIC), prima della PCI (strategia upstream) oppure se sia sufficiente iniziare il trattamento in laboratorio di emodinamica (strategia downstream). In due metanalisi, eptifibatide e tirofiban, utilizzati in upstream sono risultati efficaci nel ridurre il rischio di morte e (re)infarto a 30 giorni seppur con un eccesso di sanguinamenti (31-33).
L'EARLY-ACS, primo studio randomizzato disegnato ad "hoc" e condotto su più di 9400 pazienti con SCA-NSTEMI, di confronto tra strategia "upstream" e strategia "downstream" ha evidenziato che l' inizio dell' eptifibatide 12 ore prima della rivascolarizzazione con angioplastica non migliora l' outcome a a 30 giorni rispetto all' inizio del farmaco dopo l' angiografia coronarica (34).
Dopo i risultati di quest'ultimo trial, l'utilizzo upstream degli anti Gp IIbIIIa in pazienti con NSTEMI viene pertanto sconsigliato dalle linee guida ESC (classe III con livello di evidenza B); rimane l'indicazione ad un loro uso in sala di emodinamica in caso di evidenza angiografica di trombosi importante o in caso di risultato sub ottimale della PCI (21).
Nei pazienti con STEMI trattati con angioplastica primaria l'abciximab è sicuramente l'anti Gp IIbIIIa più studiato: in una metanalisi di 11 studi randomizzati la sua aggiunta alla terapia standard era associata a una significativa riduzione di mortalità sia a 30 giorni che a un anno, senza causare un significativo aumento dei sanguinamenti (35). Tuttavia anche nello STEMI la somministrazione di una dose di carico di clopidogrel sembra rimettere tutto in discussione. Nello studio BRAVE-3 in pazienti con STEMI che ricevevano 600 mg di clopidogrel, l'aggiunta di abciximab non determinava un maggior salvataggio di miocardio (36). Il beneficio dell'abciximab sembra essere invece indiscusso in caso di infarti con caratteristiche di alto rischio, inclusi i casi complicati da shock cardiogeno (37-38).
Le linee guida ESC raccomandano l'uso degli anti Gp IIbIIIa nel caso della angioplastica primaria in pazienti con elevato carico trombotico con classe IIa e livello di evidenza rispettivamente A e B per abciximab e eptifibatide e IIb con evidenza B per il tirofiban. Tale somministrazione dovrebbe essere eseguita solo nel laboratorio di emodinamica (21).








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