La terapia antiaggregante in cardiologia tra vecchi e nuovi farmaci

 

G.Sibilio, L. Cavuto, N. Moio, E. Murena, F. Sibilio'

 

U.O. Utic-Cardiologia P.O. S. Maria delle Grazie Pozzuoli –ASL Na2 Nord

‘Seconda Università degli Studi di Napoli (SUN)

 

 

Sequenza degli eventi nell’attivazione piastrinica

 

Le piastrine sono dei frammenti citoplasmatici rilasciati nel sangue dai megacariociti del midollo osseo ed hanno un ruolo fondamentale nell’emostasi e nelle patologie di natura trombotica.

L’endotelio vascolare produce in condizioni di normalità diversi mediatori chimici, quali la prostaciclina (PGI2) ed il monossido di azoto (NO), che impediscono l’attivazione delle piastrine; in caso di endotelio danneggiato sono invece prodotti fattori proaggreganti, quali il platelet activating factor (PAF) e fattori procoagulanti.

In caso di danno vascolare vengono ridotte localmente le proprietà antiaggreganti dell’endotelio e le piastrine vanno incontro ad un processo di “adesione” (interazione piastrina-parete vasale) alle strutture sub-endocardiche, che ora risultano “esposte” (es. collagene).

Le piastrine subiscono modifiche conformazionali con emissione di pseudopodi (shape change), che ne facilitano prima l’adesione e successivamente l’aggregazione. Nel citoplasma delle piastrine sono presenti dei granuli che contengono numerose proteine - sintetizzate a livello dei megacariociti - quali il platelet factor 4 (PF4), il fattore di von Willebrand (vWF), la trombospondina e la P-selectina.

L’adesione piastrinica è mediata principalmente dal vWF: i grandi polimeri di vWF forniscono la più importante “colla molecolare” per fare aderire le piastrine alla parete vasale danneggiata.

Successivamente le piastrine adese vanno incontro ad attivazione e rilasciano costituenti granulari (es. ADP, fibrinogeno,vWF) e trombossano A2 (TXA2).

Tali sostanze si legano ai rispettivi recettori piastrinici ed amplificano l’attivazione patologica.

Le sostanze liberate dalle piastrine attivate reclutano inoltre ulteriori piastrine dalla circolazione nel sito della lesione e mediano il processo di aggregazione piastrinica (interazione piastrina-piastrina).

In caso di danno endoteliale i fenomeni di adesione e di aggregazione piastrinica sono facilitati da recettori di membrana per varie glicoproteine.

I complessi glicoproteici Ib/V/IX e Ia/IIa  sono importanti per l’adesione alla matrice dell’endotelio danneggiato; il complesso glicoproteico IIb/IIIa - che rappresenta la glicoproteina più abbondante sulla membrana- viene legato, dopo l’attivazione piastrinica, dal fibrinogeno, determinando l’aggregazione.

L’attivazione del recettore IIb/IIIa (mediata da una modifica conformazionale) è favorita dal TXA2 prodotto a partire dall’acido arachidonico.

Farmaci antipiastrinici

 

L’inibizione della funzione piastrinica può essere indirizzata ad una qualsiasi delle tappe dell’attivazione piastrinica: il blocco piastrinico dovrebbe essere più efficace se diretto alla fase iniziale (adesione) o a quella finale (aggregazione).

I farmaci antipiastrinici che agiscono sulle tappe intermedie (es aspirina, ticlopidina,, clopidogrel) sono meno potenti, in quanto è possibile l’attivazione piastrinica attraverso vie alternative (es liberazione di ADP, sintesi di TXA2), non inibite.

Gli approcci terapeutici ideali, atti ad inibire l’adesione piastrinica, potrebbero consistere nell’utilizzo di anticorpi monoclonali anti-vWF o anti-Gp Ib o di sostanze che interferiscano con il legame tra vWF ed il suo recettore Gp Ib sulla membrana piastrinica.

Tuttavia queste strategie non sono ancora disponibili nella pratica clinica.

E’ possibile invece utilizzare approcci terapeutici che bloccano la tappa finale cioè l’interazione del fibrinogeno con il recettore piastrinico IIb/IIIa.

 

Antiaggreganti piastrinici nelle SCA

 

Tra i farmaci antipiastrinici di “vecchia generazione” annoveriamo l’aspirina (acido acetilsalicilico), la ticlopidina, il clopidogrel, gli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa (GP IIb/IIIa) quali l’abciximab,il tirofiban ed l’eptifibatide.

Gli inibitori delle fosfodiesterasi quali il dipiridamolo ed il cilostazol sono raramente utilizzati nella pratica clinica nel setting delle SCA.

Gli antipiastrinici di nuova generazione, recentemente approvati per il trattamento dei pazienti con SCA, sono il prasugrel ed il ticagrelor.

 

Farmaci antipiastrinici di “vecchia generazione”

 

Aspirina (ASA)

 

L’ ASA è un farmaco “sintetizzato” da oltre 100 anni: fino a poco tempo fa’ era l’unico farmaco antipiastrinico disponibile clinicamente efficace.

Da circa 30 anni si conosce che tale molecola può interferire nella funzione piastrinica (in particolare nella biosintesi di prostaglandine e di TXA2).

Dal 1985 è approvata dal FDA per il trattamento dei pazienti con pregresso IMA o angina instabile.

Nel 1995 con la cristallizzazione dell’enzima ciclossigenasi-1 (COX-1) è stato ben definito il meccanismo d’azione dell’ASA.

Dal punto di vista farmacodinamico viene determinata dall’ASA un’inibizione della COX-1 attraverso un’acetilazione, in modo irreversibile, di un nucleo serinico (Ser 529), in prossimità del sito catalitico dell’enzima.

Tale meccanismo d’azione è peculiare ed è unico, in quanto differisce dagli altri antiflogistici non steroidei (FANS), che sono inibitori competitivi e reversibili dell’enzima. L’ASA determina un blocco irreversibile della COX-1: tale inibizione è un processo saturabile, che non richiede incremento del dosaggio del farmaco.

L’enzima ciclossigenasi presenta due isoforme: COX-1 e COX-2.

La prima (COX-1) è espressa preferenzialmente a livello delle piastrine; la seconda (COX-2) a livello delle cellule infiammatorie.

Ciò spiega l’importanza delle differenze di dosaggio e di durata dell’effetto antiaggregante (75-325 mg. di ASA) e di quello antinfiammatorio od analgesico (>325 mg.di ASA).

Un elemento importante, dal punto di vista fisiopatologico, è il blocco dell’aggregazione COX-dipendente per tutta la durata della vita delle piastrine (media 7-10 gg.), in quanto tali cellule sono prive di nucleo.

Questa peculiarità giustifica la durata dell’effetto terapeutico, nonostante l’emivita dell’ ASA è breve (soli 20’).

Tuttavia, nonostante l’inibizione irreversibile della COX-1 alteri la funzione delle piastrine per tutta la loro rimanente vita nel sangue circolante, il tempo di sanguinamento ritorna in genere nella normalità, entro 24-48 ore dall’assunzione dell’ ASA.

Tale apparente discrepanza è dovuta all’immissione in circolo, da parte del midollo osseo di un numero, sufficiente grande, di nuove piastrine non inibite, dopo l’eliminazione dell’ASA dal sangue, numero adeguato a ripristinare la normale emostasi (il tempo di emorragia), prima della completa normalizzazione della funzione piastrinica in vivo.

Pertanto non è giustificato, nei pazienti in terapia con ASA, sospendere il farmaco 7 giorni prima di un intervento chirurgico anche”maggiore", nell’ottica della completa normalizzazione della funzione piastrinica (prassi sovente utilizzata negli anni ’80 e ’90).

L’ ASA “blocca” anche la COX presente nelle cellule endoteliali dei vasi, con una soppressione della produzione di prostaglandine (PGI2) endoteliali, che hanno proprietà di vasodilatazione e di inibizione delle piastrine.

Nonostante la duplice attività, tuttavia gli effetti antitrombotici sono complessivamente prevalenti in vivo.

In ogni caso ASA “piastrino selettive” (cioè che non agiscano contemporaneamente sulla COX dell’ endotelio) non sono state ancora introdotte nella pratica clinica.

L’utilizzo dell’ASA ad un dosaggio compreso tra 160 e 325 mg. costituisce, da molti anni, una parte preminente del trattamento dei pazienti nella fase acuta dell’IM.

Lo Studio ISIS II (Second International Study of Infarct Survival) ha documentato una riduzione del 24% della mortalità con l’immediata somministrazione del farmaco dopo l’IMA. Tale riduzione della mortalità era sovrapponibile a quella del farmaco fibrinolitico, con cui dimostrava un effetto sinergico.

L’ASA viene raccomandato dalle Lineeguida ESC del 2011 e 2012, nella fase acuta di un NSTEMI (Classe I; LOE A) e di un STEMI (CLASSE I; LOE A), con un dosaggio di 150-300 mg. per os (idealmente compresse masticabili).

In caso di impossibilità della terapia orale, è stata consigliata - anche se tale indicazione non era basata su studi randomizzati - una somministrazione e.v. di ASA di 250-500mg. (Lineeguida ESC sul trattamento dello STEMI del 2008).

Tale dosaggio e.v. è stato ridotto ad 80-150 mg. nelle recenti Lineeguida ESC 2012 sul trattamento dello STEMI, al fine di ridurre l'inibizione delle PGI2.

Si fa' presente che, nella pratica clinica, si utilizza e.v. l'acetisalicilato di lisina.

La terapia con ASA, ad un dosaggio 75-100 mg. die, viene raccomandata da tutte le Lineeguida internazionali, in assenza di controindicazioni o intolleranza, in maniera indefinita dopo una SCA (Classe I, LOE A).

L’ASA determina una riduzione del 35-50% del rischio relativo di morte cardiovascolare ed infarto del miocardio dopo SCA (NNT 40).

Una percentuale di soggetti di circa il 50% presenta “una resistenza all’ASA”, che si traduce come una inibizione subottimale della funzione piastrinica.

Potenziali meccanismi della “resistenza all’ASA” sono rappresentati da:

interazioni farmacologiche con altri farmaci, fonti extrapiastriniche di TXA2 o polimorfismi COX, che possono determinare una variabilità interindividuale nella risposta clinica.

La somministrazione contemporanea di antinfiammatori non steroidei (FANS) non selettivi, può antagonizzare gli effetti dell’ASA sulla COX1 per un fenomeno di interazione competitiva e, pertanto, ridurre l’efficacia antipiastrinica dell’ASA.

Raramente (< 0.5%dei pazienti) si manifestano reazioni allergiche all'ASA: in alcuni casi può essere effettuata una terapia desensibilizzante.

 

Ticlopidina

 

E’ un derivato tienopiridinico che esplica l’effetto antiaggregante attraverso l’inibizione della via adenosindifosfato (ADP)- dipendente dell’attivazione  piastrinica: l’azione è su una proteina piastrinica, la componente P2Y12 del recettore per l'ADP.

Tale farmaco ha necessità di essere trasformato in forma attiva, con insorgenza lenta dell’attività antiaggregante (48-72 ore). La dose di carico orale è di 500mg. e la dose di mantenimento è di 250 mg. bis in die.

Effetti collaterali sono rappresentati dalla neutropenia (anche grave) nell’1% dei pazienti, di solito reversibile con la sospensione del farmaco, dalla trombocitopenia e dalla porpora trombotica trombocitopenica.

Quest' ultima complicanza ha una comparsa più tardiva (entro 2-8 settimane dall’assunzione dal farmaco) e si manifesta in una percentuale più bassa di pazienti (0,02% dei pazienti che assume ticlopidina dopo stent coronarico).

E’ la prima tienopiridina approvata dall’FDA (1991) ed è stata, per molto tempo, raccomandata, come farmaco di prima scelta, in caso di allergia all' ASA.

 

Clopidogrel

 

Il clopidogrel, analogamente alla ticlopidina, è un derivato tienopiridinico, che esercita la sua attività antiaggregante inibendo il legame dell’ADP al suo recettore piastrinico, in particolare alla componente P2Y12 del recettore per l’ADP.

Inizialmente è stata approvata dall’ FDA (1997) per la riduzione degli eventi tromboembolici in pazienti con pregresso IM, stroke e arteriopatia periferica.

Il recettore P2Y12 è parte della catena di amplificazione dell’attivazione piastrinica:

il blocco di questo recettore, oltre ad inibire l’ attivazione piastrinica ADP-indotta, sembra diminuire l’attivazione piastrinica indotta da altri stimoli esterni (es,vWF).

Il clopidogrel ha dimostrato negli studi clinici di non essere associato ad un aumento dell’ incidenza di neutropenia e trombocitopenia, evidenziando un profilo di “safety” migliore della ticlopidina.

Il clopidogrel è stato studiato nei pazienti con STEMI (Studio Commit; Studio Clarity) e in quelli con NSTEMI (Studio Cure; Studio PCI Cure).

Nei pazienti con SCA l’assunzione “upstream”  (all’ingresso in ospedale) ha dimostrato, in associazione all’ASA, una riduzione significativa del rischio relativo di morte cardiovascolare/IM: tale beneficio era più consistente nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione con PCI.

I limiti del clopidogrel sono dovuti a:

v  ritardato inizio dell’effetto farmacologico;

v  variabilità dell’inibizione piastrinica;

v  riduzione dell’inibizione della funzione  piastrinica  (“poor responders”) nel 15-40% dei pazienti trattati.

I pazienti “poor responders” presentano un incremento degli eventi ischemici e di trombosi dello stent.

Molti fattori influenzano la reattività piastrinica e gli eventi clinici durante terapia con clopidogrel: età, body-mass index, insufficienza renale, diabete, assorbimento intestinale (regolata dalla glicoproteina P codificata dal gene ABCB1), metabolismo epatico (ad opera degli isoenzimi epatici CYP3A4 e CYP2C19 del citocromo P450), polimorfismi genetici del recettore P2Y12.

In base alla differente capacità di metabolizzare il clopidogrel, si possono distinguere metabolizzatori rapidi, intermedi e lenti.

Questi ultimi (che rappresentano 1/3 della popolazione caucasica) presentano una diminuita attività farmacologica del clopidogrel, con un maggiore numero di eventi trombotici, quali infarto, ictus cerebrale e trombosi dello stent.

Al momento non è raccomandato un utilizzo routinario dei test di reattività piastrinica nei pazienti con SCA trattati con clopidogrel, ai fini di un aggiustamento posologico o di un “cambio” della terapia antipiastrinica.

Nella pratica clinica negli ultimi anni il clopidogrel è stato utilizzato nelle SCA con una dose di carico di 300 mg (nei pazienti con età <75 anni) ed una dose di 75 mg./die, nella terapia a lungo termine.

Nelle Lineeguida ESC/EATS 2010 sulla rivascolarizzazione miocardica è raccomandato un utilizzo del clopidogrel nello STEMI e nel NSTEMI con  una dose di carico di 600 mg (Classe I; LOE C).

Tale dosaggio determina una più rapida insorgenza d’azione ed una maggiore velocità di inibizione piastrinica, rispetto ad una dose di carico di 300 mg.

In un recente trial clinico (CURRENT-OASIS 7), condotto su pazienti con STEMI e NSTEMI, è stato messo a confronto un regime terapeutico con clopidogrel ad alto dosaggio (dose di carico di 600 mg., seguita da 150 mg./die per una settimana e successivamente 75 mg./die) vs. un dosaggio standard (300 mg. come dose di carico e 75 mg.die nella fase successiva).

Nel complesso il regime terapeutico con clopidogrel ad alto dosaggio si è dimostrato, in questo studio, più efficace rispetto al dosaggio standard nell’endpoint composito (mortalità cardiovascolare, IMA ed ictus a 30 gg.), soltanto in un analisi prespecificata per sottogruppi, relativa ai pazienti sottoposti a PCI. Il regime di clopidogrel ad alto dosaggio ha determinato nel trial un aumento a 30 gg. dei sanguinamenti maggiori ed una maggiore necessità di emotrasfusioni.

Questa indicazione (Lineeguida ESC/EATS 2010) è stata modificata nelle recenti Lineeguida 2011 ESC sul NSTEMI, in cui il clopidogrel viene raccomandato soltanto nei pazienti che non possono ricevere ticagrelor o prasugrel, due antipiastrinici di recente introduzione in commercio (Classe I ; LOE A).

Nelle stesse Lineeguida, il clopidogrel,ad una dose di carico di 600 mg. è raccomandato per i pazienti programmati per strategia terapeutica invasiva, quando non vi è disponibilità di ticagrelor o prasugrel (Classe I; LOE B).

Nelle recentissime Lineeguida ESC 2012 sul trattamento dello STEMI, il clopidogrel è raccomandato, come terapia antipiastrinica nella PCI primaria, preferibilmente quando altri più nuovi inibitori del recettore 2PY12 non sono disponibili o sono controindicati (ClasseI; LOE C).

Nelle Lineeguida ESC 2012 sul trattamento dello STEMI è raccomandato l’ uso del clopidogrel (loadind dose orale di 300 mg. se il paziente ha < 75 anni), in associazione alla terapia fibrinolitica (Classe I;LOE A).

Nelle stesse Lineeguida in caso di pazienti con STEMI, che non hanno effettuato alcuna terapia riperfusiva (pazienti giunti entro le 12 ore, nei quali non è stata somministrata alcuna terapia riperfusiva o pazienti giunti dopo le 12 ore dall’evento acuto) viene raccomandato l’utilizzo di clopidogrel alla dose di 75mg./die.

 

Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa

 

Gli inibitori del recettore GP IIb/IIIa rappresentano una potente classe di farmaci antipiastrinici, che agiscono inibendo la formazione dei ponti trasversali, mediata dal fibrinogeno attraverso il legame con la GP IIb/IIIa.

Essi rappresentano potenti inibitori della via finale comune dell’aggregazione piastrinica.

Sono attualmente disponibili 3 farmaci per l’utilizzo nelle SCA: l’abciximab, il tirofiban e l’eptifibatide.

L’abciximab è un frammento Fab di un anticorpo monoclonale, diretto contro il recettore della GP IIb/IIIa; il tirofiban (una molecola non peptidica) e l’eptifibatide (un’ epapeptide sintetico) agiscono come antagonisti recettoriali (della GP IIb/IIIa).

Sono stati utilizzati prevalentemente nei pazienti con angina instabile e NSTEMI, trattati preferenzialmente farmacologicamente all’ ingresso in Utic (upstream therapy), in quelli in cui si programmava una strategia interventistica ed in quelli sottoposti ad entrambi gli approcci terapeutici.

Il maggiore beneficio di tali antipiastrinici, somministrati tutti e.v. negli studi clinici sugli inibitori della GP IIb/IIIa, è stato osservato nel setting di pazienti con troponina positiva e sottoposti a PCI.

La “comboterapia”( associazione di trombolitici a dose ridotta con inibitori della GP IIb/IIIa) nello STEMI, non era associata a benefici nella mortalità a 30gg, confrontata con l’utilizzo di trombolitico a piena dose, ma era gravata da un maggiore rischio di emorragia.

Tutti gli inibitori delle GP IIb/IIIa sono associati, in misura variabile al rischio di una trombocitopenia.

Molti studi clinici su gli antagonisti della GPIIb/IIIa sono stati condotti quando non erano disponibili il clopidogrel ed i più recenti inibitori del recettore P2Y12.

Con l’introduzione in commercio del clopidogrel e dei nuovi inibitori del recettore P2Y12, l’uso in upstream degli antagonisti della GP IIb/IIIa si è notevolmente ridotto nella pratica clinica.

Nelle Lineeguida ESC 2010 sulla rivascolarizzazione miocardica gli inibitori della GP IIb/IIIa sono raccomandati in associazione agli antipiasrinici orali, all’atto della PCI (“downstream”), nelle SCA-NSTE solo in caso di elevato “burden” trombotico intracoronarico con tali Classi di indicazioni:

Tutti gli inibitori delle GP IIb/IIIa non sono raccomandati come terapia upstream nelle SCA-NSTE (Classe III; LOE B).

Nello STEMI le suddette Lineeguida raccomandano, in caso di elevato “burden” trombotico intracoronarico i seguenti inibitori delle GP IIb/III/a:

Tutti gli inibitori delle GP IIb/IIIa non sono raccomandati come terapia upstream nello STEMI (Classe III; LOE B).

Nelle Lineeguida ESC 2011 sul NSTEMI si ribadisce che il trattamento upstream con gli inibitori delle GPIIb/IIIa si associa ad un aumento del rischio emorragico.

Pertanto si raccomanda di valutare attentamente il bilancio tra il rischio trombotico e quello emorragico nell’associazione degli antipiastrinici orali con gli inibitori della GPIIb/IIIa e degli anticoaugulanti (Classe I; LOE C).

Inoltre seconde le suddette Lineeguida ESC 2011, la somministrazione di questi farmaci (senza privilegiarne nessuno dei 3 in commercio) è indicata, in presenza di un rischio emorragico basso, in caso di PCI in pazienti ad alto rischio (troponina elevata, riscontro di formazioni trombotiche ed estensione della malattia), in associazione alla doppia terapia orale antipiastrinica (Classe I; LOE B).

Le emorragie da inibitori delle GP IIb/IIIa possono essere trattate con trasfusione di piastrine fresche (abciximab) e con supplementazioni di fibrinogeno con plasma fresco congelato o crioprecipitato , eventualmente associate  a trasfusione piastrinica (tirofiban ed abciximab).

Era ipotizzato che la prolungata inibizione della GP IIb/IIIa, utilizzando farmaci assumibili per via orale, potesse migliorane l’efficacia clinica.

Tuttavia i risultati degli studi clinici con inibitori orali della GP IIb/IIIa sono stati deludenti, non evidenziando alcun effetto favorevole, ma un aumento significativo della mortalità.

Inibitori delle fosfodiesterasi

 

Dipiridamolo

 

Il meccanismo dell’attività antiaggregante non è chiaro.

Si sono ipotizzati: un stimolo della sintesi di PGI2, un incremento dei livelli di adenosinmonofosfato(AMP) ciclico - attraverso l’inibizione delle fosfodiesterasi- un blocco della captazione dell’adenosina nelle cellule vascolari endoteliali e nelle piastrine.

Tale farmaco utilizzato in associazione alla ASA - prevalentemente negli anni ’80 e ’90 - per la prevenzione secondaria dell’ictus cerebrale e nelle arteriopatie periferiche, non viene raccomandato dalle Lineeguida internazionali sul trattamento dei pazienti con SCA.

 

Cilostazol

 

E’ un derivato chinolonico ed agisce inibendo la fosfodiesterasi-3 piastrinica; possiede effetti vasodilatori. L’utilizzo, approvato dalla FDA, è nella terapia della claudicatio intermittens, secondaria a malattia vascolare periferica.

Non ha indicazioni nella terapia antipiastrinica dopo SCA.

Sono presenti in letteratura rare segnalazioni, di uso empirico, in pazienti con SCA, con intolleranza e/o allergia crociata agli altri  antipiastrinici.

 

 

Nuovi farmaci anti piastrinici

 

Prasugrel

 

E’ un profarmaco del gruppo delle tienopiridine, approvato dall’ FDA nel 2009.

La conversione al suo metabolica attivo (chimicamente simile al clopidogrel) richiede 2 tappe metaboliche: idrolisi da parte un’esterasi plasmatica e sintesi epatica da parte del citocromo P450.

Il metabolica attivo si lega in maniera irreversibile al recettore P2Y12 delle piastrine.

L’inibizione piastrinica, in virtù del metabolismo più semplice, risulta più rapida e stabile rispetto al clopidogrel.

Dal punto di vista farmacodinamico, dopo l’assunzione di 60 mg. di prasugrel, l’inibizione piastrinica è massima dopo 2-4 ore ed interessa il 70% delle piastrine.

“Alterate” espressioni dei geni CY2C19 e ABCB1 non sembrano modificare in maniera significativa la risposta all’assunzione del prasugrel, al contrario di quanto si verifica con il clopidogrel.

Nello studio TRITON-TIMI 38, su 13.608 pazienti arruolati, sono stati confrontati il prasugrel (dose di carico 60 mg. seguita da 10 mg. die) con il clopidogrel (dose di carico 300 mg. seguita da 75 mg. die) in pazienti con SCA (STEMI e NSTEMI) e pianificata PCI.

Si è registrata una riduzione assoluta del 2.2% e una riduzione relativa del 19% dell’endpoint primario (morte cardiovascolare, IM non fatale ed ictus cerebrale) e del 52% della trombosi “certa o probabile” precoce e tardiva dello stent, sia metallico che medicato, nel gruppo in trattamento con prasugrel.

La differenza nell’endpoint primario era largamente correlata alla differenza nell’occorrenza di IM non fatale (morte cardiovascolare ed ictus non fatale non erano ridotti dal prasugrel rispetto al clopidogrel).

Non si è evidenziata alcuna differenza nella mortalità per tutte le cause tra i due gruppi di trattamento.

Nella popolazione oggetto dello studio è stato osservato, nei pazienti che assumevano prasugrel, un significativo incremento (2.4% vs 1.8% dei pazienti in terapia con clopidogrel) dei sanguinamenti maggiori secondo TIMI: si è registrato un aumento significativo tanto delle emorragie potenzialmente fatali, quanto di quelle fatali.

Nei pazienti con pregressi accidenti cerebrovascolari (stroke o TIA) il prasugrel è risultato potenzialmente dannoso, per l’elevato rischio di sanguinamenti.

Nei pazienti con età > 75 anni e peso corporeo <60 kg. non è stato evidenziato alcun beneficio netto da parte del farmaco.

In tale setting di pazienti in Europa è considerato l'utilizzo della stessa loading dose. con un dosaggio di mantenimento di 5 mg. die, per minimizzare il rischio emorragico.

Tuttavia  nelle Lineeguida ESC 2012 sul trattamento dello STEMI, si sottolinea che, al momento, non sono presenti dati di outcome su tale dosaggio ridotto e che ci sono altri farmaci inibitori del recettore ADP utilizzabili in tale sottogruppo di pazienti.

Nello studio TRITON-TIMI 38, nel setting dei diabetici (3146 pazienti), è stato osservato un maggiore beneficio con l’utilizzo del prasugrel (riduzione dell’endpoint primario del 30%), non associato ad un incremento del rischio emorragico.

L’FDA nell’approvare tale molecola, ne controindica l’utilizzo nei pazienti con anamnesi di ictus o TIA e con attivo sanguinamento patologico.

Vi è anche un “warning” sull’ uso del prasugrel nei pazienti con età > 75 anni per l’elevato rischio di emorragie fatali ed intracraniche.

Nelle Lineeguida ESC/EATS del 2010 sulla rivascolarizzazione miocardica il prasugrel viene raccomandato in Classe I LOE B in caso di STEMI ed in Classe IIA LOE B dopo NSTE-ACS: in tutte le SCA l’anatomia coronarica doveva essere nota.

Nelle Lineeguida ESC 2011 sul NSTEMI il prasugrel viene invece raccomandato nello stesso setting di pazienti (naive da un trattamento con altri inibitori del recettore P2Y12, con anatomia coronarica nota e candidati alla PCI) con un’indicazione più forte (Classe I; LOE B), con l’eccezione del gruppo  di pazienti con alto rischio emorragico e con altre controindicazioni.

Nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria il prasugrel conferma nelle Lineeguida ESC 2012 sul trattamento dello STEMI l’indicazione di farmaco di prima scelta (Classe I; LOE B) in pazienti clopidogrel-naive, senza nessuna precedente storia di stroke/TIA ed età < 75 anni.

 

Ticagrelor

 

E’ un antagonista diretto e reversibile del recettore piastrinico P2Y12 dell’ADP, approvato dall’FDA per l’utilizzo clinico nelle SCA nel 2011.

Non è un profarmaco e pertanto non necessita della metabolizzazione epatica per essere trasformato in un farmaco attivo.

Il ticagrelor non è una tienopiridina, ma appartiene alla classe delle pirimidine.

E’ dotato di un’ emivita plasmatica di circa 12 ore e l’entità dell’inibizione della funzione piastrinica è determinata essenzialmente dai livelli plasmatici del farmaco e non da metaboliti attivi.

L’insorgenza degli effetti è, analogamente al prasugrel, molto rapida (a 30’si manifesta un’ inibizione del 41% dell’aggregazione piastrinica vs. l’8% che si ottiene con il clopidogrel ), dopo assunzione di una dose di carico di 180 mg.

Vi è risposta omogenea all’assunzione del ticagrelor, con un’inibizione piastrinica più elevata e costante nel tempo, a differenza del clopidogrel, che ha, come precedentemente sottolineato, una ridotta biodisponibilità ed una trasformazione metabolica epatica fortemente influenzata da varianti genetiche.

A fronte di tale più rapida ed intensa inibizione piastrinica, di contro si evidenzia una rapida reversibilità degli effetti farmacologici (3-4 giorni), con un recupero più veloce della funzionalità delle piastrine.

Nel PLATO (PLTelet inhibition and patient Outcomes), studio multicentrico randomizzato, in doppio cieco, veniva messa a confronto una terapia con ticagrelor (dose di carico di 180 mg. seguita da 90 mg.x2/die) con una terapia con clopidogrel (dose di carico di 300-600 mg. seguita da 75 mg./die) in 18624 pazienti, ricoverati per SCA-NSTE a rischio medio-alto (candidati a trattamento conservativo o invasivo) e per STEMI (candidati a PCI primaria). I pazienti erano “arruolati” entro 24 ore dall’insorgenza dei sintomi, in maniera “upstream”, prima che fosse effettuato l’esame coronarografico.

Ad un anno di follow-up si è registrata una riduzione del 16% dell’endpoint primario composito (riduzione assoluta di 1.9%), rappresentato da mortalità per cause cardiovascolari, infarto ed ictus cerebrale, con una riduzione pari al 22% del rischio relativo di morte per tutte le cause.

Non sono aumentati i sanguinamenti maggiori totali, ma si è manifestato un incremento dei sanguinamenti maggiori (secondo criteri PLATO o TIMI) non CABG (cioè non collegati a procedure di chirurgia cardiaca).

Si è registrato un incremento statisticamente significativo delle emorragie fatali intracraniche con ticagrelor rispetto a clopidogrel (in media un eccesso di un’ emorragia fatale ogni 1000 pazienti trattati con ticagrelor).

Di contro le emorragie fatali non intracraniche sono risultate minori con il ticagrelor, verosimilmente per la reversibilità del legame recettoriale e quindi dell’effetto farmacologico, alla sospensione dell’ antipiastrinico, in caso, ad esempio, di emorragie gastrointestinali di grave entità.

Tra gli effetti collaterali sono riportati un incremento della dispnea (14.2% vs.9.2%) e di pause ventricolari al monitoraggio holter.

La dispnea, di lieve entità ed autolimitante, era confinata ai primi giorni di trattamento; le pause ventricolari non erano associate a sintomatologia sincopale, né ad un aumento dell’impianto dei pacemakers.

Entrambi gli effetti collaterali sono stati attribuiti al blocco del reuptake dell’adenosina, da parte dei globuli rossi, con sovraccarico di adenosina.

Nelle Lineeguida ESC/EATS 2010 il ticagrelor era raccomandato in Classe I ; LOE B sia nei pazienti NSTE-SCA che in quelli con STEMI.

Nelle recenti Lineeguida ESC 2011 sul NSTEMI il ticagrelor viene raccomandato in tutti i pazienti con un rischio moderato-alto di eventi ischemici futuri, inclusi i pazienti precedentemente in trattamento con clopidogrel (Classe I ; LOE B).

Da un “analisi geografica” (pazienti trattati negli Stati Uniti vs.quelli del resto del mondo) dello studio Plato, si è evidenziata una riduzione dell’effetto del ticagrelor sull’endpoint primario, per dosi di ASA > 100 mg. associate.

Nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria il ticagrelor ha, nelle Lineeguida ESC 2012 sul trattamento dello STEMI, un’indicazione di farmaco di prima scelta (Classe I; LOE B), analogamente al prasugrel.

Non è possibile fare un confronto tra i risultati degli  studi TRITON-TIMI 38 e PLATO, in quanto hanno arruolato differenti casistiche.

Al momento non è presente alcuno studio di confronto diretto (head to head ) tra ticagrelor e prasugrel.

 

Inibitori del recettore 2CY12 e inibitori di pompa piastrinica

 

Gli inibitori di pompa che inibiscono il recettore CYP2C19 (in particolare l'omeprazolo) riducono l'attività antiaggregante piastrinica del clopidogrel. A tale riguardo non si sono succedute molte note delle Società regolatorie (FDA;EMA), con specifici warning sulla somministrazione combinata di clopidogrel ed inibitori della pompa protonica.

L'utilizzo degli inibitori di pompa deve essere considerato nel caso di pazienti con storia di emorragie gastrointestinali ed è appropriato in caso di età avanzata, uso concomitante di anticoagulanti, di steroidi, di FANS (incluse alte dosi di ASA) e di infezione da Helicobacter pylori.

Al momento, tuttavia, non vi è una chiara ed univoca evidenza in letteratura che l' tra clopidogrel ed inibitori di pompa protonica si traduca in conseguenze nell'outcome clinico (aumento degli eventi ischemici).

In ogni caso, se il paziente è ad alto rischio, i benefici dell' utilizzo degli inibitori di pompa, al fine di evitare o minimizzare i sanguinamenti, superano i rischi connessi all'interazione farmacologica con clopidogrel.

Non si è evidenziata alcuna interazione farmacologica tra inibitori di pompa ed i nuovi più potenti inibitori del recettore 2CY12 (prasugrel e ticagrelor).

 

Scelta dell’ inibitore del recettore P2Y12 nell’ angina instabile e nel NSTEMI

 

Strategia invasiva (PCI)

 

In precedenza è stato sottolineato come, nelle Lineeguida ESC, nei pazienti che effettuano PCI è stato ridimensionato il ruolo del clopidogrel, da utilizzare in caso di indisponibilità dei nuovi inibitori del recettore P2Y12,che si sono dimostrati superiori al clopidogrel nel ridurre gli eventi clinici.

Tuttavia, le recentissime  Lineeguida 2012 ACCF/AHA sul trattamento dei pazienti con angina instabile ed NSTEMI (Update delle Lineeguida  del 2011), raccomandano indicazioni differenti da quelle europee.

In particolare viene mantenuto un atteggiamento prudenziale, per quanto concerne la scelta degli inibitori del recettore P2Y12, in quanto i benefici del prasugrel e del ticagrelor sono stati dimostrati rispettivamente soltanto in uno studio clinico.

La decisione sulla scelta dell’antipiastrinico dovrebbe essere, secondo il writing group delle Lineeguida, “tailored”, cioè personalizzata sul singolo paziente, tenuto conto delle considerazioni sull’efficacia nella prevenzione della trombosi, sul rischio di eventi avversi (correlati al sanguinamento) e sull’esperienza clinica con un determinato farmaco.

In pratica esplicitamente non viene operata alcuna scelta prioritaria tra gli inibitori del recettore P2Y12.

Il prasugrel  ed il ticagrelor hanno, secondo le suddette Lineeguida per il trattamento dell’angina instabile ed del NSTEMI, una indicazione di Classe I; LOE B, nei pazienti che effettuano una PCI.

Il clopidogrel, ad una dose di carico di 300-600. mg., nello stesso setting di pazienti, una raccomandazione di classe I; LOE A.

Per il prasugrel non può essere raccomandato l’utilizzo nelle SCA-NSTE nei pazienti afferenti al Dipartimento di Emergenza o in quelli che non sono sottoposti a PCI.

Per l’FDA è ragionevole l’ uso selettivo del prasugrel prima del cateterismo, in sottogruppi di pazienti nei quali si è deciso di procedere ad angiografia e a PCI.

Secondo le linee guida americane per il trattamento dell’angina instabile e del NSTEMI, all’atto della PCI può essere utilizzato selettivamente un inibitore della GP IIb/IIIa :l’abciximab (Classe I;LOE A), l’eptifibatide (Classe I; LOE A) ed il tirofiban (Classe I; LOE B).

A discrezione del cardiologo può essere effettuata un’infusione post-PCI fino a 12 ore per l’abciximab, di 12-18 ore per l’eptifibatide e di 12-24 ore per il tirofiban.

 

Strategia conservativa o “non conosciuta” (“selettivamente non invasiva”)

 

Le Lineeguida europee privilegiano l’utilizzo del ticagrelor (Classe I ; LOE B) in all comers con angina instabile e con NSTEMI, includendo anche quelli trattati conservativamente.

Le Lineeguida 2012 ACCF/AHA sul trattamento dei pazienti con angina instabile ed NSTEMI, consigliano-sulla scorta di quanto precedentemente sottolineato nell’ambito della strategia invasiva - indifferentemente clopidogrel o ticagrelor (Classe I; LOE B).

La tripla terapia antipiastrinica (ASA +clopidogrel o ticagrelor e inibitori GPIIb/IIIa) può essere raccomandata (Classe IIb; LOE B), secondo le Lineeguida americane solo in selezionati pazienti a rischio trombotico elevato e basso rischio emorragico (significativo sottoslivellamento del tratto ST, diabete mellito, troponina positiva, età < 75 anni), programmati per strategia invasiva.

In definitiva non vi è differenza nelle Classi di raccomandazione della terapia upstream con inibitori delle GPIIb//IIIa tra le Lineeguida americane ed europee (in queste ultime con Classe IIb e LOE C). In tali circostanze si  consiglia l’utilizzo di eptifibatide e tirofiban, per la le proprietà farmacodinamiche, che consentono una più rapida ripresa della funzione piastrinica.

Nelle Lineeguida americane, nei pazienti con allergia o grave intolleranza gastrointestinale all’ASA, si possono utilizzare (dopo dose di carico) il clopidogrel (Classe I; LOE A) o il ticagrelor (Classe I; LOE B) oppure il prasugrel (Classe I;LOE B), quest’ ultimo solo nei pazienti sottoposti a PCI.

Nessuno dei nuovi (prasugrel o ticagrelor) antipiastrinici dovrebbe essere utilizzato in pazienti con precedente stroke emorragico o in pazienti con patologie epatiche di grado medio-severo.

In ogni caso tutti gli inibitori del recettore per l'ADP dovrebbero essere utilizzati con cautela in pazienti ad alto rischio di sanguinamento o con anemia significativa.

Nello studio TRILOGY-ACS, presentato al Congresso Europeo di Cardiologia di agosto 2012 - è stato confrontato il prasugrel con il clopidogrel nei pazienti con angina instabile e NSTEMI, trattati senza rivascolarizzazione. Il dosaggio del prasugrel è stato ridotto a 5 mg. in pazienti < 60 kg. e con età > 75 anni.

Il risultato del trial- disegnato come una continuazione ideale dello studio TRITON-TIMI 38- non ha evidenziato differenze statisticamente significative nell’ endpoint primario (morte cardiovascolare, IM ed ictus), dopo un follow-up di 18 mesi, ma solo un trend verso una riduzione degli eventi ischemici nel gruppo prespecificato, trattato con prasugrel.

Nonostante l’effetto neutro riscontrato sull’endpoint primario, il prasugrel dimostrava nel trial una buon profilo di safety.

In tale setting di pazienti con SCA-NSTE, sottoposti a terapia conservativa- per i quali non c’ è attualmente indicazione alla terapia con prasugrel- non vi era, nello studio in oggetto, alcuna differenza con il clopidogrel, per quanto concerneva la comparsa di  emorragie maggiori, quelle fatali e pericolose per la vita (verosimilmente per la riduzione del dosaggio del prasugrel a 5 mg die, in un subset di pazienti ad alto rischio emorragico).

 

Sospensione degli antiaggreganti orali in fase preoperatoria: terapia “ponte”

 

Le lineeguida ESC/EATS 2010 sulla rivascolarizzazione miocardica consigliano la sospensione di clopidogrel e ticagrelor almeno 5 giorni prima di un intervento chirurgico, mentre 7 giorni prima in caso di trattamento con prasugrel.

Nelle recenti Lineeguida ESC sul trattamento dello STEMI, viene confermato tale periodo di sospensione per clopidogrel e prasugrel; per il ticagrelor, in virtù dei risultati dello studio PLATO, tale periodo di sospensione viene ridotto a 3-5 giorni, prima di un intervento chirurgico.

Nel caso di sospensione della terapia con clopidogrel, non è raccomandato l’utilizzo (sovente riscontrato nella pratica clinica quotidiana) di eparina non frazionata o a basso peso molecolare: tale terapia infatti non ha alcun effetto antiaggregante e si associa per altro ad un aumento del rischio di sanguinamenti.

Ai fini della prevenzione della trombosi dello stent è necessario "bilanciare" il rischio trombotico con quello emorragico. Il rischio trombotico è correlato al tipo di stent posizionato (metallico vs. medicato), al tempo intercorso dalla PCI all'intervento chirurgico, alle caratteristiche angiografiche delle lesioni trattate ed ai fattori clinici.

Nonostante non esistano studi clinici controllati, taluni autori suggeriscono l’utilizzo di antagonisti delle GP IIb/IIIa con breve emivita (molecole, quali tirofiban ed eptifibatide), in caso di interventi ad alto rischio emorragico ed in pazienti ad elevato rischio di trombosi dello stent, come terapia sostitutiva degli antipiastrinici orali.

L’ infusione e.v. di tirofiban o eptifibatide dovrebbe essere iniziata a partire della terza giornata prima dell'intervento chirurgico e l'infusione dovrebbe essere interrotta almeno 4 ore prima dell' intervento (8 ore nei pazienti con clearance della creatinina < 30 ml./min.). Nella fase postoperatoria è consigliabile l’assunzione in prima giornata e, comunque il prima possibile (in rapporto all'intervernto chirurgico effettuato), degli antipiastrinici (clopidogrel, prasugrel o ticagrelor), con relativa dose da carico.

Si consiglia di non interrompere, quando possibile, la terapia con ASA (con la sola eccezione degli interventi di neurochirurgia intracranica e prostatectomia transuretrale, interventi che hanno documentato un aumento del rischio emorragico).

Recentemente è stato proposta, come terapia "ponte", l'utilizzo del cangrelor, un nuovo potente antipiastrinico, che inibisce in maniera competitiva il recettore piastrinico P2Y12, nei pazienti, portatori di stent coronarici, candidati a chirurgia non cardiaca.

Tale molecola, somministrata e.v., ha peculiari caratteristiche farmacodinamiche:

ha un effetto molto rapido (massima attività  dopo 15') ed  una rapida reversibilità dell'inibizione piastrinica.

Nonostante le importanti premesse fisiopatologiche, il cangrelor non si è dimostrato superiore al clopidogrel nel trattamento delle SCA (studio CHAMPION-PCI).

Tuttavia recentemente nello studio BRIDGE (trial condotto su 210 pazienti) la somministrazione di cangrelor a pazienti in terapia con tienopiridine, candidati a intervento di rivascolarizzazione chirurgica coronarica, non ha determinato alcun aumento di sanguinamento correlato al  BPAC, pur dimostrando valori di reattività piastrinica più bassi rispetto al placebo.

Sono necessari ovviamente studi clinici  controllati, su ampie casistiche, per supportare tale approccio terapeutico.

Recentemente (agosto 2012) è stato pubblicato un Documento di Consenso con l'endorsement di molte Associazioni, Società e Federazioni, avente come oggetto

l'approccio multidisciplinare della gestione dei pazienti portatori di stent coronarici, candidati ad intervento chirurgico.

 

 

Conclusioni

 

Il processo di attivazione piastrinica e l’aggregazione che ne consegue, hanno un ruolo preminente nello sviluppo degli episodi aterotrombotici nei pazienti con SCA.

Il target della terapia antipiastrinica è quello di ridurre il rischio sia di complicanze ischemiche che di eventi trombotici ricorrenti.

L’ASA è stata “sintetizzata” alla fine dell’800 da due ricercatori della Bayer (Eichengrun ed Hoffman), che ricavarono dalla loro scoperta solo delusioni, in quanto il prof. Dreser, massima autorità della farmacologia tedesca, dichiarò a lungo che il loro composto era privo di qualsiasi utilità terapeutica.

L’ASA è considerata la “cornerstone” (“la pietra angolare”) su cui poggia la base della terapia antipiastrinica delle SCA.

Il clopidogrel è il farmaco più utilizzato nella pratica clinica delle Utic, negli ultimi anni, nella cosiddetta doppia terapia antiaggregante (DAPT).

Nell’ampio spettro delle SCA i nuovi inibitori del recettore 2PY12 (prasugrel e ticagrelor) garantiscono una più rapida e intensa inibizione piastrinica ed una riduzione altamente significativa degli eventi ischemici, rispetto al clopidogrel.

Il rilievo di eventi avversi (aumento dell’incidenza dei sanguinamenti), con l’utilizzo di questi nuovi inibitori del recettore 2PY12, impone una riflessione sulla necessità di effettuare un bilancio tra rischio trombotico ed emorragico.

La posizione del writing group delle Lineeguida 2012 ACCF/ACC sull’angina instabile e sul NSTEMI, di non scegliere tra vecchi e nuovi inibitori del recettore P2Y12 , è dettata, a nostro parere, da un’eccessiva prudenza, motivata dalla presenza di soli 2 trials, a sostegno rispettivamente dell’utilizzo del prasugrel e del ticagrelor, e dalla lunga esperienza clinica con il clopidogrel.

La superiorità del ticagrelor (riduzione degli eventi ischemici, nonché della mortalità totale) rispetto al clopidogrel, consente, a nostro giudizio, un utilizzo diffuso “upstream” di tale antipiastrinico soprattutto nei Centri Spoke (Utic senza emodinamica) e nel setting dei pazienti con NSTE-SCA.

Il trattamento con ticagrelor può essere interrotto, qualora si rendesse necessaria, dopo l’esame coronarografico, una rivascolarizzazione chirurgica, sfruttando la reversibilità del meccanismo d’azione, che determina una riduzione dei sanguinamenti acuti, connessi con l’intervento di by-pass aortocoronarico.

Il prasugrel, antipiastrinico molto potente, che ha mostrato la sua massima efficacia già nei primi giorni dopo la PCI, può essere attualmente utilizzato prevalentemente nei Centri Hub, ma le prospettive di utilizzo sono senz’altro maggiori, in caso di attivazione di un network regionale per il trattamento delle SCA.

Promettenti sono le recenti evidenze in letteratura del trattamento con il prasugrel in pazienti con SCA-NSTE, sottoposti a terapia "conservativa”, utilizzando ridotte dosi del farmaco, nei sottogruppi ad elevato rischio di sanguinamento.


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