IL RAPORTO MEDICO-INFERMIERE

Il Punto di Vista del Medico

 

Claudio Coletta

Roma

 

 

     Parlare del rapporto fra cardiologo e infermiere, nella cardiologia attuale, significa parlare di due professioni in rapida trasformazione, speculari fra loro eppure complementari oltre che alleate negli aspetti fondamentali della vita lavorativa. Non è, come si capisce, un compito facile e si rischia di cadere in luoghi comuni e stereotipi noiosi, quando non pericolosi per quanto ho detto prima. La professione medica ha conosciuto delle trasformazioni epocali, in questo ultimo mezzo secolo, e i medici della generazioni a cui appartengo hanno dovuto imparare a destreggiarsi fra imaging e informatica, fra linee guida e terapia interventistica, tentando di non dimenticare gli insegnamenti della clinica, unico paradigma reale che accomuna qualsiasi approccio sanitario.

    Destreggiarsi fra la medicina dei padri e la medicina di Steve Jobs, per intenderci, non è stato semplice e probabilmente morti e feriti sono stati lasciati sul campo, ma è certo che la qualità e l’efficacia complessiva dell’approccio sanitario è salita, come testimoniato dall’aumento drammatico dell’aspettativa di vita nei paesi occidentali, che tanti problemi, fra l’altro, sta provocando al nostro sistema assistenziale e pensionistico. Qualcuno afferma che parte di questo cambiamento sia dovuto alle statine, qualcun altro lo attribuisce agli ACE-Inibitori, all’aspirina, ai beta-bloccanti, alla prevenzione primaria e secondaria e a un mucchio di altri fattori. Sicuramente il miglioramento della diagnostica ha comportato una diagnosi più precoce e un trattamento tempestivo e appropriato, in particolare nel settore cardio-vascolare e oncologico, contribuendo a questo risultato epocale. Tutto questo richiede, però, un prezzo da pagare: il distacco fra operatori sanitari e pazienti, con perdita di quella vis terapeutica insita nei processi di rassicurazione, conforto, sollievo dal dolore in cui tanta competenza hanno sempre dimostrato i nostri padri, e l’assistenza sanitaria a carattere religioso (“ah, le suore di una volta!”, è la frase che si sente continuamente pronunciare in ospedale…). In pratica, si è venuto a creare uno spazio libero, nell’approccio al malato, spazio che era occupato in passato dal carisma del sanitario-stregone, al quale nessuno richiedeva reale competenza e reale efficacia, spazio che non può essere occupato da una macchina, o da uno schermo al plasma, per quanto sofisticato. Chi o cosa può sostituirsi a questa carenza, che non avrà ricadute in termini statistici di efficacia, o di mortalità, ma che certamente incide sulla qualità di vita dei nostri pazienti?

 

 Torniamo all’infermiere, adesso. Professione nata nell’antichità in forma quasi di servitù (chiedo perdono), limitata all’occuparsi del corpo malato e di tutte le sue brutture, consolante certo, ma lontana da qualsiasi competenza specifica e da qualsiasi intervento terapeutico in senso stretto. Adesso sembra incredibile rendersi conto di quanto difficile e lento sia stato il passaggio dagli antichi “servitori” di corsia (ben rappresentati negli affreschi dell’ospedale dove lavoro, addetti alla svestizione e alla pulizia di corpi piagati) agli attuali infermieri. Il presente appare sempre scontato, ma non lo è. Lo sapeva bene Florence Nightindale, quando nella sua visionarietà comprese l’importanza di un approccio “scientifico” alla cura delle ferite da guerra, che, pur spesso non letali, esigevano un tributo intollerabile di vittime. Analizzare la condizione reale della professione infermieristica, allo stato attuale, è molto difficile. Basti pensare ai differenti compiti cui va incontro un infermiere di terapia intensiva cardiologica e un infermiere addetto a un servizio di ergometria e valutazione funzionale, per rendersene conto. Ecco però che si presenta il primo spunto di riflessione: analogamente a quanto avvenuto per il cardiologo, soprattutto in ambito ospedaliero il campo d’intervento dell’infermiere presenta moltissime sfaccettature e richiede, per logica conseguenza, una competenza multiforme, variegata, che parta da un “sapere” e un “saper fare” comune, di base, direi, per arrivare a conoscenze ed esperienze di altissimo livello e di grande raffinatezza. Non ho riserve ad ammettere, per esempio, che avrei bisogno di mesi e forse anni di addestramento per riuscire a svolgere decentemente l’attività degli infermieri di elettrofisiologia clinica, operanti nelle stanze accanto a quella dove io esercito la mia professione di ecocardiografista. E tornando alla corsia, e quindi al rapporto con il paziente, è evidente come quel ponte assistenziale basato sul contatto umano, spesso anche tattile o fisico in senso generale, sia stato in gran parte delegato alla professione infermieristica. Quasi nessun cardiologo tocca più il corpo del paziente, per visitarlo, bussarlo, palparlo, e quando raramente avviene è prassi (giusta, per carità!) che avvenga con la frapposizione del lattice a copertura della mani e a garanzia dell’igiene. Dimenticando che gran parte della fortuna della medicina alternativa si basa proprio sul contatto diretto fra polpastrelli del guaritore e pelle del malato, basti pensare alla pranoterapia, ai massaggi shiatzu, a molte altre forme di medicina orientale. L’infermiere ancora “tocca” il corpo del malato, ed ecco che a lui è stata pian piano delegata quella funzione terapeutica storicamente appannaggio della professione sanitaria “per eccellenza”, ovvero del medico, recentemente abbandonata per inseguire le chimere dell’imaging, delle linee-guida, della “evidence-based medicine”.  Tutto giusto, tutto corretto, ma forse si è trattato di una rinuncia troppo grande, dettata da un entusiasmo acritico verso le novità.

     L’infermiere di cardiologia, nel 2012, si presenta come un operatore sanitario competente, capace, in grado di svolgere moltissimi compiti fino a poco tempo fa di pertinenza esclusiva del medico, e soprattutto responsabile di attività cliniche e strumentali per le quali è necessaria una competenza specifica e assoluta, preclusa, per ragioni organizzative e pratiche, alla maggior parte dei cardiologi. Purtroppo, nella quasi totalità dei casi questa competenza è affidata alla formazione sul campo, di stampo volontaristico, e qui è il primo e più grave ostacolo alla crescita della vostra professione. Ecco dunque che viene a delinearsi un confine fra competenze del cardiologo e competenze dell’infermiere che non può più essere inteso come una linea diritta, separata da un vallo intransitabile in un senso o nell’altro, concetto che portava con sé un deprecabile fumus di “supremazia”, da parte del sanitario, e di “sudditanza”, da parte dell’infermiere. Abbiamo a che fare con due professioni collaboranti e complementari, i cui campi d’intervento si sovrappongono in innumerevoli situazioni cliniche contingenti, e che si trovano a interagire, per la prima volta, con altrettante nuove professionalità, quali i tecnici di cardiologia, i sonografisti, i terapisti della riabilitazione, i tecnici di imaging e via dicendo. Tutte professioni con campi d’intervento, competenze specifiche, e problematiche medico-legali e assicurative sempre più simili, e sempre più coincidenti, soprattutto in determinati settori in ambito ospedaliero.

Non posso e non voglio entrare in problematiche che non mi competono, ma come conseguenza di quanto ho scritto credo si renda necessaria una profonda revisione del percorso didattico e formativo dell’infermiere dopo la laurea triennale, con l’apertura di corsi, Master o dottorati consoni alle attuali esigenze assistenziali e alla professione infermieristica di un futuro sempre più prossimo. Credo che di un infermiere sempre più specializzato e competente ci sia bisogno, soprattutto pensando al già prossimo, pesante calo numerico dei medici laureati, che lascerà intere praterie disponibili per la crescita ulteriore della vostra professione. Mi auguro che chi ha e avrà la responsabilità di governare, a livello locale, regionale e nazionale la vostra professione, rinunci all’attuale miopia, alla difesa delle posizioni raggiunte, e non si lasci sfuggire questa straordinaria opportunità storica.