trattamento chirurgico  DELLA

Cardiopatia  ischemica  cronica

 

Antonio Panza, Antonio Longobardi, Antonella Villano, Mario Miele, Emanuele De Ruberto, Giuseppe Di Benedetto

Struttura Complessa di Cardiochirurgia, Dipartimento “Cuore”, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, Salerno

 

 

Il termine di angina stabile o angina cronica definisce una sindrome morbosa caratterizzata da crisi di ischemia miocardica acuta transitoria che si producono in condizioni omogenee stabili nel tempo, generalmente associati a sforzo fisico. L’aggettivo stabile che caratterizza questa sindrome coronarica deve essere inteso o come espressione della costanza e ripetibilità del momento di discrepanza fra la domanda di ossigeno da parte del miocardio e la insufficiente disponibilità di flusso coronarico o come espressione della stabilità clinica, definita come sovrapponibilità nel tempo della frequenza e della severità degli episodi di angina e caratterizzata da una bassa incidenza di eventi. Il meccanismo patogenetico usuale dell’angina stabile è rappresentato da un substrato patologico organico, la placca aterosclerotica, che riduce il lume coronarico, e da una causa scatenante, l’aumento del consumo miocardico di ossigeno, la più comune essendo l’esercizio fisico. Pertanto l’angina cronica stabile è generalmente una angina da sforzo.

Nella stratificazione prognostica dei pazienti con angina stabile è assolutamente importante tener presente che il rischio di andare incontro a eventi cardiovascolari gravi è molto basso. In questi pazienti l’incidenza di morte cardiaca è stata calcolata fra l’1,5 e il 2% ad un anno, e quella dell’infarto non fatale intorno all’1%, per anno.  I pazienti a basso rischio presentano un test da sforzo positivo ad alto carico, una funzione ventricolare sinistra di base normale e una malattia di 1 o 2 vasi ma senza interessamento dell’arteria discendente anteriore. I pazienti ad alto rischio sono in classe canadese 3 o in classe 1 o 2 e rispondono con criteri di gravità ai test provocativi. Inoltre sono da considerarsi ad alto rischio se presentano una funzione ventricolare sinistra depressa (FE =< 30%) o un test da sforzo positivo a basso carico o una malattia del tronco comune o malattia multivasale con funzione ventricolare sinistra depressa. I pazienti a rischio intermedio sono non inquadrabili in una delle due precedenti categorie.

Gli obiettivi della strategia terapeutica nell’angina stabile sono il controllo della sintomatologia dolorosa, il miglioramento della tolleranza all’esercizio fisico e quindi il miglioramento della qualità di vita e la riduzione a lungo termine degli eventi cardiovascolari maggiori (morte, infarto miocardico non fatale).

Nei pazienti con angina stabile una procedura di rivascolarizzazione miocardica è indicata:

·                     quando la terapia medica ottimale non riesce a controllare i sintomi e il paziente continua a accusare angor durante la vita abituale;

·                     in presenza di un quadro coronarografico caratterizzato da una malattia del tronco comune della coronaria sinistra, oppure da una malattia trivasale associata a depressa funzione ventricolare sinistra.

Questa indicazione anatomica alla procedura di rivascolarizzazione potrebbe far porre indicazione alla coronarografia in ogni paziente con angina stabile. Difficoltà operative e criteri di economia sanitaria consigliano di limitare l’accertamento invasivo solo ai pazienti che abbiano mostrato risposte indicative di gravità della malattia alle procedure diagnostiche non invasive

 

Indicazioni alla rivascolarizzazione “meccanica”

L’indicazione alla rivascolarizzazione miocardica è raccomandata quando:

·                     il paziente non ha (più) angina durante la vita abituale, ma persiste ischemia inducibile con i test di provocazione, che continuano a risultare positivi con criteri di gravità;

·                     in presenza di malattia coronarica mono o bivasale con stenosi critica sul tratto

·                     prossimale dell’arteria discendente anteriore.

 

L’indicazione alla rivascolarizzazione miocardica può essere presa in considerazione quando:

·                     la terapia medica abolisce i sintomi e l’ischemia inducibile ma il paziente era stato classificato ad alto rischio ai test provocativi eseguiti in assenza di terapia;

·                     il paziente non ha più sintomi in terapia ottimale, ma l’ischemia inducibile, seppure migliorata non scompare;

·                     in presenza di lesioni ostruttive critiche a carico di due grossi assi coronarici (ma non del tratto prossimale della arteria discendente anteriore), associate a depressa funzione ventricolare sinistra.

 

PCI o BPAC

Per quanto riguarda il tipo di procedura di rivascolarizzazione miocardica, le nuove linee guida tengono conto dei dati emersi dallo studio SYNTAX (acronimo che significa SYNergy fra TAXus e cardiac surgery) ha rappresentato un punto di svolta nella diagnosi, stratificazione del rischio ed indirizzo terapeutico a breve e lungo termine della MACO. Tale trial comparava i risultati della rivascolarizzazione chirurgica e percutanea in pazienti con lesioni coronariche multivasali associate o meno ad una lesione del tronco comune. La peculiarità di tale studio era rappresentata dalla possibilità di definire la complessità anatomica delle lesioni da trattare. La severità e l’estensione delle lesioni coronariche erano definite ricorrendo ad una nuova classificazione: il SYNTAX score. Tale punteggio si basa su nove criteri anatomici, incluso numero, complessità e posizione della lesione. Punteggi SYNTAX più alti indicano pazienti con patologia più complessa e maggiori difficoltà di trattamento percutaneo. Con questo approccio metodologico si superano le incongruenze di comparazione che erano alla base di numerosi studi che valutavano l’efficacia della PCI versus il BPAC.

 

Indicazioni lesioni mono-multivasali

La rivascolarizzazione meccanica è indicata nelle mono o bivasali con coinvolgimento dell’interventricolare anteriore prossimale (IVA) ed in tutti i trivasali. La superiorità del BPAC è sempre presente, anche se l’opzione PCI è una valida alternativa nei mono o bivasali e nei trivasali con lesioni coronariche non complesse (SYNTAX score ≤ 22).

 

Lesione

BPAC

PCI

Monovasale o bivasale + IVA prossimale

I A

IIaB

Trivasale + SYNTAX score ≤ 22

I A

IIaB

Trivasale + SYNTAX score > 22

I A

IIIA

 

Indicazioni lesioni del tronco comune (TC)

I pazienti con lesione isolata dell’ostio o del corpo del tronco comune, anche se multivasali ma con lesioni non complesse (Syntax score < 32) possono essere considerati candidati alla PCI, anche se il BPAC è superiore. L’opzione percutanea prende forza in presenza di comorbidità, che elevino il rischio previsto in caso di intervento chirurgico (Euroscore > 5).

 

Lesione

BPAC

PCI

TC ostio o corpo isolato o +1 vaso

I A

IIa B

TC biforcazione isolato o +1 vaso

I A

IIb B

TC + 2 vasi o 3 vasi + SYNTAX score ≤ 32

I A

IIb B

TC + 2 vasi o 3 vasi + SYNTAX score >32

I A

III A

 

Tali raccomandazioni sono state validate nel mondo reale dallo Studio ASCERT, pubblicati nel 2012 nel New England, che ha screenato 190.000 pazienti (escludendo quelli con SCA, con malattia del TC e con malattia monovasale) ed ha mostrato una superiorità in termini di sopravvivenza a lungo termine, nei pazienti di età superiore di 65 anni con malattia multivasale sottoposti a CABG rispetto a quelli trattati con PCI. Lo Studio ha quindi confermato le raccomandazioni delle Linee Guida ESC-EACTS per la rivascolarizzazione miocardica del 2010.

 

Heart Team

Comunque, la scelta terapeutica va confezionata sul singolo paziente nell’ambito dell’Heart Team di cui fanno parte il cardiologo, l'emodinamista e il cardiochirurgo, i quali valutano, insieme al paziente, i vantaggi di una scelta terapeutica rispetto alle altre, identificando così il percorso migliore. Pertanto il paziente è posto al centro del processo decisionale e la soluzione terapeutica viene ritagliata sul quadro anatomico-clinico del soggetto in esame. L’ Heart Team è il vero gestore della strategia terapeutica, sottraendola all’arbitrio del singolo cardiologo clinico, cardiologo interventista e cardiochirurgo mediante l’acquisizione del consenso informato. Il procedimento per il consenso informato non deve essere visto unicamente come un atto legalmente necessario ma deve essere considerato come un’opportunità per ottimizzare il processo decisionale in maniera obiettiva. È fondamentale essere consapevoli del fatto che altri fattori, come il sesso, la razza, la disponibilità, le capacità tecniche, i risultati locali, i percorsi di accesso allo specialista e le preferenze del paziente, possono incidere sul processo decisionale indipendentemente dai riscontri clinici.