LA FIBRILLAZIONE ATRIALE NEL GIOVANE

 

Raffaele Rotunno

U.O. Utic-Cardiologia Ospedale di Roccadaspide  ASL Salerno

 

FA nel giovane

La fibrillazione atriale si presenta di solito in forma parossistica o persistente nel paziente giovane, privo di malattia cardiaca strutturale ( lone atrial fibrillation ), mentre più comunemente in forma permanente nell’anziano, in cui si è ormai manifestata la malattia cardiaca strutturale ( 1 ).

La fibrillazione atriale può essere la conseguenza di una condizione sistemica, nella quale l’aterosclerosi, la infiammazione, l’ipertensione arteriosa e l’obesità contribuiscono allo sviluppo dell’aritmia ed alle sue complicanze tromboemboliche.

In questi soggetti sono le trasformazioni del substrato atriale a svolgere un ruolo dominante.

Vi sono, nondimeno, evidenze che spesso la responsabilità dell’innesco e del mantenimento dell’aritmia nel paziente giovane è affidata soltanto alla presenza di focolai ectopici a rapida scarica.

Il meccanismo focale nella genesi della FA è stato ritenuto per anni molto improbabile, ricevendo minima attenzione fino al 1997, quando Michel Haissaguerre ( 4 ) rilevò che una sorgente focale per la FAP poteva essere identificata nell’uomo e l’ablazione di questo focolaio poteva estinguere l’aritmia.

I punti di origine dei battiti ectopici sono stati rilevati più frequentemente a livello delle vene polmonari ed ancora in quantità notevolmente inferiore a livello della parete posteriore dell’atrio sn.    e del muscolo atriale dx. (5)

In modelli animali sperimentali si è dimostrato che scariche ripetitive di battiti ectopici possono produrre mutamenti progressivi nel substrato atriale, che portano all’automantenimento della FA.

Il rimodellamento delle cellule miocardiche atriali si realizza dapprima a livello elettrico, successivamente a livello contrattile e strutturale.

A seguito della scarica rapida di un focolaio ectopico si ha una riduzione del  periodo refrattario

( PREA) delle cellule atrali ( 6 ); noi sappiamo che gli ioni calcio entrano con ciascun potenziale d’azione nella cellula miocardica attraverso la corrente Ica, responsabile della fase di plateau; un incremento della frequenza atriale si traduce, di conseguenza, in un sovraccarico di calcio citosolico, che provoca a sua volta un feedback negativo sulla stessa corrente in entrata Ica con successivo accorciamento della fase di plateau (dowregulation della Ica ) e, quindi, del PREA.

Il rimodellamento elettrico dell’atrio si accompagna ad una sua aumentata vulnerabilità  così che incrementa la complessità aritmica della risposta ai battiti extrasistolici con la possibilità che alla scarica rapida del focolaio segua l’insorgenza di fibrillazione atriale parossistica (7) ( 8)

Vi sono ormai evidenze che condizioni simili al rimodellamento elettrico post-tachicardico possano generarsi a seguito di mutazioni genetiche: attraverso analisi di linkage sono stati mappati molteplici loci per la FA monogenica come 11p15.5, 21q22, 17q, 7q35–36, 5p13, 6q14–16 e 10q22( 23 ); molti di questi loci codificano per subunità dei canali del potassio delle cellule miocardiche atriali (KCNQ1, KCNE2, KCNJ2, and KCNH2 geni) ( 24 ) producendo un’aumentata attività delle correnti ripolarizzanti del potassio con conseguente accorciamento della durata del potenziale d’azione e del periodo refrattario striale (PREA): si crea così una predisposizione per lo sviluppo di FA su base genetica ( 25 ). 

Quando l’aritmia compare, maggior tempo persiste più si creano le condizioni per le forme ulteriori di rimodellamento, quello contrattile e strutturale dell’atrio; quest’ultimo si realizza mediante il rigonfiamento dei mitocondri con disarrangiamento delle creste ( miopatia precoce da sovraccarico di calcio) ( 6 ) ed il successivo accumulo citoplasmatico di glicogeno a danno del materiale contrattile ( recupero fenotipico di una condizione cellulare meno differenziata)(9 ) In tal modo in un  soggetto con cuore senza patologia strutturale cardiaca nell’arco di pochi mesi si può realizzare attraverso episodi intercorrenti di tachisistolia e fibrillazione atriale parossistica la progressione di una ectopia atriale a partenza dalle v. polmonari verso una forma persistente di FA .

Sono questi i soggetti con lone atrial fibrillation, in cui l’ablazione dei foci rapidamente scaricanti, che innescano e mantengono l’aritmia, può sopprimere il trigger e ridurre la potenziale degenerazione del substrato atriale stabilizzando il ritmo sinusale (4) (5) (7).

Questi pazienti, che si presentano con complessi atriali prematuri ed aritmie sopraventricolari in assenza di patologia strutturale cardiaca, sono quelli in cui il disordine elettrico svolge un ruolo primario.

Nel modello sperimentale durante il lungo tempo la fibrillazione atriale parossistica e/o persistente progredisce in frequenza e durata per divenire permanente attraverso il rimodellamento elettrico e strutturale ( 2 ); l’osservazione clinica nell’uomo mostra che al contrario il rischio di evoluzione della lone atrial fibrillation parossistica o persistente nella forma permanente è piuttosto scarso.

I pazienti della Contea di Olmsted nel Minnesota con età inferiore a 60 anni all’epoca del primo episodio di lone atrial fibrillation  parossistica o persistente, valutati presso la Mayo Clinic dal 1950 al 1980, presentavano una probabilità cumulativa a 30 anni di progressione verso la forma permanente soltanto del 29% e la maggioranza di essi transitava verso la forma permanente entro i primi 15 anni ( 3 ).

Nello studio condotto da Scardi a Trieste dal 1966 a11995 su 125 soggetti di età inferiore a 50 anni all’epoca della prima diagnosi di lone atrial fibrillation solo il 23% presentava una evoluzione della FA parossistica verso la forma permanente ( 10 ).

La fibrillazione atriale permanente non rappresenta, quindi, l’ultimo inevitabile stadio di progressione della fibrillazione atriale parossistica; trattasi bensì di due forme distinte di aritmia. 

E’ verosimile che nell’uomo gli effetti proaritmici del rimodellamento, indotto dalla stessa aritmia, siano nella maggioranza dei casi insufficienti per la progressione  verso la forma permanente in assenza di co-morbidità come la ipertensione arteriosa, la disfunzione diastolica e lo scompenso cardiaco, condizioni che promuovono l’ipertrofia cellulare, la fibrosi interstiziale e la eterogeneità elettrofisiologica; non è, peraltro, un caso che la fibrillazione atriale parossistica produca un incremento di tre volte del rischio di evoluzione verso la forma permanente, quando la presenza di anomalie del complesso QRS all’esordio denuncia occulte anormalità strutturali cardiache.

L’età avanzata rappresentava l’altro grande predittore di evoluzione della fibrillazione atriale dalla forma parossistica a quella permanente; quando il tempo della diagnosi iniziale si sposta da una decade di età a quella successiva il rischio incrementa di 1.7 volte.

Occorre ricordare che nel giovane la LFA, piuttosto che essere precipitata da stress fisici ed emotivi, si realizza con maggior probabilità nel periodo di rilassamento dopo tali eventi e di frequente di sera in presenza di un intenso tono vagale ( 11); la cardioversione a ritmo sinusale si realizza più spesso al mattino, quando il drive simpatico è più alto. A seguito della comparsa di alterazioni strutturali cardiache o nel corso dell’invecchiamento dopo i 50 anni la FAP viene più di sovente mediata dal sistema adrenergico comparendo di giorno, durante uno sforzo fisico o uno stress emotivo: un cuore ammalato e/o senile è, difatti, più sensibile alla stimolazione simpatica.

Eventi che provocano un incrementato tono vagale sono la tosse, la nausea e lo stato postprandiale, in particolare l’ingestione di cibo solido e freddo (12).

Nei primi 15 anni di follow-up il rischio di stroke  nei pazienti con LAF della Contea di Olmsted veniva stimato intorno allo 0.4% per anno; la probabilità così di sopravvivenza in assenza di eventi tromboembolici era elevata, vicina a quella attesa di popolazione, ovvero del 94%; tale probabilità scendeva di poco sino all’88% dopo 25 anni, ma crollava in modo significativo successivamente così che a 30 anni era del 72% rispetto all’85% della popolazione di riferimento ( p=0,004).

Questi dati comprendevano sia i pazienti con LFA parossistica che permanente.

Lo studio condotto a Trieste distingueva, invece, tra i giovani pazienti con lone atrial fibrillation la forma parossistica da quella permanente;  quelli con LAF parossistica mostravano una incidenza soltanto di 0.36 % all’anno di eventi tromboembolici, vicina a quella rilevata ad Olmsted, che saliva all’1.3 % all’anno in quelli con lone atrial fibrillation cronica.

Quest’ultimo dato, nondimeno, è in conflitto con quanto si rileva in letteratura dove non si segnala alcuna differenza nell’incidenza di stroke  tra forma parossistica e permanente(13).

Entrambi questi studi rilevavano una probabilità di accidenti cerebrovascolari modesta nei pazienti con  LAF di età inferiore a 50 anni in accordo con la stima del rischio tromboembolico derivata dall’analisi di tre storici megatrials, SPAF,  BAATAF, Veterans Affairs Stroke Prevention in nonrheumatic Atrial Fibrillation Investigators ( 14,15,16), oscillante tra lo 0 e l’1.4% all’anno; pur spostando l’attenzione sui soggetti di una fascia di età un pò più avanzata come quelli dei primi 5 studi di prevenzione primaria,AFASAK, SPAF, BAATAF, CAFA, SPINAF, si rileva che al di sotto dei  65 anni ed in assenza di predittori di eventi tromboembolici il rischio di stroke persiste lieve intorno all’1% all’anno ( 13 ). 

Occorreva che trascorressero oltre 25 anni dalla diagnosi perché i giovani pazienti con LFA della Contea di Olmsted invecchiando andassero incontro ad un brusco aumento del rischio di stroke; durante tale periodo, i pazienti, di frequente, sviluppavano ipertensione arteriosa; d’altronde,  tutti quelli, che andavano incontro ad un evento cerebro-vascolare, avevano sviluppato di già 1 o più fattori di rischio di tromboembolismo.

Si può, quindi, concludere che il rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti giovani con LAF non si discosta in maniera significativa da quello atteso della  popolazione di riferimento, incrementando con l’avanzare dell’età e la comparsa di alcune condizioni di rischio, che di là dall’ipertensione arteriosa sistemica sono il diabete, lo scompenso cardiaco congestizio e la malattia vascolare aterosclerotica.

Nei giovani soggetti a basso rischio di stroke non è consigliabile il ricorso alla terapia anticoagulante; se in questi pazienti il rischio tromboembolico non si discosta dall’1%, occorre altresì  ricordare che la eventualità di eventi emorragici maggiori in corso di terapia anticoagulante è dell’1.2% (13).

Lo schema di rilievo del rischio di stroke oggi più adottato è rappresentato dal CHADS2 score,

nel quale vengono assegnati 2 punti alla storia di una precedente ischemia cerebrale ed un punto a ciascun altro fattore di rischio, ovvero all’età superiore a 75 anni, all’ipertensione, al diabete ed allo scompenso cardiaco ( 17 ).

L’incidenza di stroke più bassa si realizza tra i pazienti con FA che presentano un punteggio CHADS di 0, ovvero di età inferiore a 75 anni senza alcun’altra condizione di rischio; questi soggetti richiedono solo un trattamento a base di aspirina ( 18 ). 

Questa rigida categorizzazione del grado di rischio in basso, moderato ed elevato non corrisponde di fatto alla realtà clinica; il rischio tromboembolico va considerato un continuum ed esistono, quindi, aree di confine tra le differenti categorie, nelle quali è opportuno muoversi con cautela. Per tale motivo la Task Force for the Management of Atrial Fibrillation of the European Society of Cardiology nell’agosto scorso ha ritenuto opportuno distinguere i pazienti con ‘major risk factors’ da quelli con ‘clinically relevant non-major risk factors’: i primi con punteggio = 2 sono gli individui con un precedente stroke nella storia e/o con > 75 anni; i secondi con un punteggio pari ad 1 sono i soggetti con scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, diabete, sesso femminile, età tra 65-74 anni, malattia vascolare come l’infarto del miocardio, le placche complesse aortiche e la PAD ( 19 ). Questo approccio viene espresso attraverso l’acronimo CHA2DS2-VASc [ congestive heart failure, hypertension, age 75 (doubled), diabetes, stroke (doubled), vascular disease, age 65–74, and sex category (female)] (20); la Task Force, comunque, si è affrettata a precisare che nelle donne con età < 65 anni, pur riconoscendo loro un punteggio di 1,  va adottata l’aspirina e non l’anticoagulante.

Nei giovani pazienti con lone atrial fibrillation ricorrente o, comunque, con FA in assenza di malattia valvolare, che presentano un CHA2DS2-VASc score = 0 va adottata l’aspirina.

L’analisi dei dati raccolti da tre trials randomizzati ( SPAF I, AFASAK ed EAFT) ad aspirina e placebo in pazienti con FA ha rilevato una riduzione del rischio relativo per stroke ischemico in quelli trattati con aspirina del 21% (21);

una analisi più recente di sette studi randomizzati confermava questi risultati (22).

Lo studio che ha mostrato la caduta maggiore del rischio di stroke è lo SPAF I, in cui si rilevò  una riduzione del 42% con una dose di aspirina di 325 mg/die; tale lavoro ha suscitato, comunque, molte perplessità per la presenza di incomprensibili contraddizioni tra soggetti eligibili al warfarin e non.

Sappiamo, peraltro, che per ottenere una pressocchè efficace inibizione farmacologica  delle piastrine sono sufficienti 75 mg di aspirina ed ancora che dosi > 300 mg  comportano una probabilità di eventi emorragici significativamente più elevata a fronte di dosi< 100 mg. 

Si può, di conseguenza, concludere che sia opportuno adottare l’aspirina a dosi tra 75 e 100 mg./die

E’ ragionevole, nondimeno, rivalutare periodicamente i giovani pazienti con FA in quanto il loro rischio di stroke può nel tempo modificarsi sia in relazione all’età sia alla comparsa eventuale di condizioni predisponenti.

 

 

Bibliografia

1)  Sumeet S. Chugh, Joseph L. Blackshear, Win-Kuang Shen, Stephen C. Hammill, and Bernard J. Gersh       Epidemiology and natural history of atrial fibrillation: clinical implications       J. Am. Coll. Cardiol. 2001;37;371-378

2)   Allessie M, Ausma J, Schotten U.       Electrical, contractile and structural remodeling during atrial fibrillation.       Cardiovasc Res. 2002;54:230 –246.

3)  Arshad Jahangir, Victor Lee, Paul A. Friedman, Jane M. Trusty, David O. Hodge,      Stephen L. Kopecky, Douglas L. Packer, Stephen C. Hammill, Win-Kuang Shen and Bernard J. Gersh      Fibrillation: A 30-Year Follow-Up Study Long-Term Progression and Outcomes With        Aging in Patients With Lone Atrial      Circulation 2007;115;3050-3056

4) Pierre Jais, Michel Haissaguerre, Dipen C. Shah, Salah Chouairi, Laurent Gencel, Meleze Hocini, and Jacques        Clementy       A Focal Source of Atrial Fibrillation Treated by Discrete Radiofrequency Ablation       Circulation. 1997;95:572-576

5)  Michel Haïssaguerre, M.D., Pierre Jaïs, M.D., Dipen C. Shah, M.D., Atsushi Takahashi, M.D., Mélèze Hocini,          Gilles Quiniou, M.D., Stéphane Garrigue, M.D., Alain Le Mouroux, M.D., Philippe Le Métayer, M.D., and Jacques       Clémenty, M.D    Spontaneous Initiation of Atrial Fibrillation by Ectopic Beats Originating in the Pulmonary Veins            N Engl J Med 1998; 339:659-666

6)   Andreas Goette, Clegg Honeycutt, and Jonathan J. Langberg

electrical Remodeling in Atrial Fibrillation: Time Course and Mechanisms

  Circulation. 1996;94:2968-2974

7)   W Julian C. Hobbes, Isabelle C Van gelder M.D., Adam Fitzpatrick M.D., Harry J.G.M. Crjins M.D., Clifford J.         Garrat M.D.

     The Role of Atrial Electrical Remodeling in the Progression of Focal Atrial Ectopy to Persistent Atrial          Fibrillation                                                                                                                                                    

     Journal of Cardiovascular Electrophysiology Volume 10, Issue 6, pages 866–870, June 1999

8)  Maurits C.E.F. Wijffels, Charles J.H.J. Kirchhof, Rick Dorland, and Maurits A. Allessie       Atrial Fibrillation Begets Atrial Fibrillation : A Study in Awake Chronically Instrumented Goats      Circulation. 1995;92:1954-1968

9)  Jannie Ausma, Maurits Wijffels, Fred Thoné, Luc Wouters, Maurits Allessie, and Marcel Borgers    Structural  

     Changes of Atrial Myocardium due to Sustained Atrial Fibrillation in the Goat

     Circulation. 1997;96:3157-3163

10) Sabino Scardi, MD, Carmine Mazzone, MD, Claudio Pandullo, MD, Daniela Goldstein, MD, Angela Poletti, MD,     and Franco Humar, MD

      Lone atrial fibrillation: Prognostic differences between paroxysmal and chronic forms after 10       years of follow-up        Am Heart J 1999;137:686-91

11) Coumel P.        Paroxysmal atrial fibrillation: a disorder of autonomic tone?

       Eur Heart J 1994 Apr; 15 suppl A:9-16

12)  Erika N. Ringdahl, MD       Vagally Mediated Atrial Fibrillation in a Young Man        Arch Fam Med. 2000;9:389-390

13) Atrial Fibrillation Investigators       Risk factors for stroke and efficacy of antithrombotic therapy in atrial fibrillation       Arch Intern Med 1994; 154:1449-1457

14) Stroke Prevention in Atrial Fibrillation Study Group Investigators.

     Preliminary report of the Stroke Prevention in Atrial fibrillation Study.

     N Engl J Med 1990;322:863-8.

15. The Boston Area Anticoagulation Trial for Atrial Fibrillation Investigators.

      The effect of low-dose warfarin on the risk of stroke in patients with nonrheumatic atrial fibrillation.       N Engl J Med 1990;323:1505-11.

16. Ezekowitz MD, Bridgers SL, James KE, et al.       Warfarin in the prevention of stroke associated with nonrheumatic atrial fibrillation (Veterans       Affairs Stroke Prevention in Nonrheumatic Atrial Fibrillation Investigators).      N Engl J Med 1992;327:1406-12.

17) Brian F. Gage; Amy D. Waterman; William Shannon; et al.       Validation of Clinical Classification Schemes for Predicting Stroke: Results From the National Registry of          Atrial Fibrillation       JAMA. 2001;285(22):2864-2870

18) Singer DE, Albers GW, Dalen JE, Fang MC, Go AS, Halperin JL, Lip GY, Manning WJ; American College of          Chest Physicians.

 Antithrombotic therapy in atrial fibrillation: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical          Practice Guidelines       Chest. 2008 Jun;133(6 Suppl):546S-592S.

19) The Task Force for the Management of Atrial Fibrillation of the        European Society of Cardiology (ESC)       Guidelines for the management of atrial fibrillation        European Heart Journal August 29, 2010 20)  Lip GY, Nieuwlaat R, Pisters R, Lane DA, Crijns HJ.  Refining clinical risk stratification for predicting stroke and thromboembolism in atrial fibrillation using a        novel risk factor-based approach: the Euro Heart Survey on atrial fibrillation.       Chest 2010;137:263–272.

21)  The Atrial  Fibrillation Investigators The efficacy of aspirin in patients with atrial fibrillation Analysis of pooled data from 3 randomized Trials

Arch Intern Med 1997; 157:1237-1240 

   22)  Hart RG, Pearce LA, Aguilar MI    Meta-analysis: antithrombotic therapy to prevent stroke in patients who have nonvalvular atrial fibrillation.

   Ann Intern Med 2007;146:857–867.

23) Brugada R, Tapscott T, Czernuszewicz GZ, et al.        Identification of a genetic locus for familial atrial fibrillation.        N Engl J Med 1997;336:905–11.

24) Chen YH, Xu SJ, Bendahhou S, et al.       KCNQ1 gain-of-function mutation in familial atrial fibrillation.       Science 2003;299:251– 4.

25) Chia-Ti Tsai, Ling-Ping Lai, Juey-Jen Hwang, Jiunn-Lee Lin, and Fu-Tien Chiang Molecular Genetics of Atrial Fibrillation J. Am. Coll. Cardiol. 2008;52;241-250