Com’è
cambiata e come cambierà
la
Cardiologia Ospedaliera
G. Rosato; F.Candelmo; E. Di
Lorenzo; T. Lanzillo; F. Manganelli;
L. Marino; F. Rotondi.
A.O.R.N. San G. Moscati Avellino
L’Istituto Superiore di Sanità
ha comunicato quest’anno un dato di estremo interesse: rispetto
al 1980, nell’anno 2000 si sono avute 42.930 morti in meno per
anno per malattie cardiovascolari. Questo è dovuto per il 58% a
misure di prevenzione e per circa il 40% a trattamento delle
malattie.
Ciononostante la patologia
cardiovascolare costituisce di gran lunga la prima causa di
morte in Italia. Il suo impatto in termine di mortalità,
morbosità ed anche sui ricoveri ospedalieri si mantiene elevato.
Alla luce dei più recenti documenti scientifici e di consenso è
utile che tutte le strutture interessate alla diagnosi, terapia
e prevenzione delle malattie del sistema cardiovascolare
cerchino il massimo raccordo operativo e funzionale al fine di
consentire al paziente un inquadramento complessivo della
malattia e l’identificazione di un percorso diagnostico
terapeutico appropriato.
La cardiologia italiana
costituisce senza dubbio un patrimonio assai importante nel
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.
Gli enormi progressi
verificatesi negli ultimi decenni e il travolgente ritmo di
crescita delle conoscenze cardiologiche degli ultimi anni
richiedono un costante aggiornamento relativamente a quattro
aspetti fondamentali:
1.
La scienza cardiologia di base
2.
Le procedure diagnostiche
3.
Le possibilità terapeutiche
4.
L’assetto organizzativo
Il cambiamento è però
multifattoriale. Esistono problematiche legate:
Ø
Alla tipologia dei
pazienti
Ø
Agli aspetti
etici, legali e culturali
Ø
Alle competenze
territoriali e cliniche
Ø
Alle risorse
economiche
Ø
Alle risorse umane
disponibili
Una delle principali criticità
della Cardiologia ospedaliera riguarda innanzitutto il problema
delle risorse. Se è vero che le malattie cardiovascolari
continuano ad essere anche nel nostro Paese la causa principale
di morte e di invalidità, gli investimenti in termine di
prevenzione, innovazione tecnologica, cura e riabilitazione
dovrebbero essere significativamente diversi.
L’evoluzione poi verso la
REGIONALIZZAZIONE della Sanità ha reso i cardiologi più
consapevoli di dover recuperare la “CENTRALITÀ DEL PAZIENTE” in
un ottica di continuità assistenziale fra ospedale e territorio.
Sicuramente le qualità
dell’assistenza erogata nelle oltre 800 strutture cardiologiche
del nostro Paese è di buon livello ed il contributo della
cardiologia italiana in ambito di programmazione sanitaria è
stato notevole.
Già nel 1981 fu elaborato dall’ANMCO
lo schema di Piano per l’assistenza cardiologia in Italia. Nel
1986 sempre l’ANMCO elaborò i criteri ed i modelli organizzativi
in cardiologia. L’ANMCO e la SIC nel 1996 pubblicarono il
testo”STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE funzionale della Cardiologia”.
Il 2003 la FIC aggiornò il testo
adeguandolo ai tempi. Nel 2009 sempre la FIC ha ritenuto
opportuno la RIEDIZIONE del documento STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE
funzionale della Cardiologia in considerazione di emergenti
criticità e proposte di cambiamenti:
Ø
IPOTESI di nuovi
modelli organizzativi ospedalieri ( ospedale per “INTENSITA’ DI
CURE”)
Ø
RUOLO DELLE UTIC
SPOKE
Ø
DIPARTIMENTO
CARDIOVASCOLARE
Ø
FRAMMENTAZIONE
DELLA CARDIOLOGIA (sub specialità)
Ø
CONTINUITA’
ASSISTENZIALE OSPEDALE-TERRITORIO
Il documento, inteso come una
iniziativa di salute pubblica ha come destinatari la comunità
medica e tutti coloro che hanno compiti organizzativi e
decisionali nella SANITA’. Il contenuto è rappresentato da una
proposta di modelli organizzativi per rispondere ai bisogni
generati dalla epidemiologia evolvente e per rispondere alla
crescente domanda di salute dei cittadini.
Una criticità emergente riguarda
il futuro della cardiologia in Italia ed in particolare quello
delle UTIC SPOKE cioè di quelle inserite in strutture di
cardiologia non dotate di Emodinamica interventistica.
La delegittimazione di queste
UTIC senza Emodinamica o con Emodinamica non interventistica
mette in serio pericolo anche l’esistenza delle rispettive
cardiologie per le quali sarebbe arduo sostenerne l’identità. Le
condizioni ritenute essenziali da tutto il mondo cardiologico
per la legittimazione di tali strutture sono le seguenti:
-
Il paziente con
problematiche cliniche di natura cardiaca deve essere curato
dal cardiologo.
-
L’Unità operativa
/Dipartimento di cardiologia rappresenta l’ambito
appropriato per la cura delle patologie cardiache, per la
scelta delle prestazioni/procedure e per gli interventi
appropriati
-
La disgregazione delle unità
operative di cardiologia e l’accorpamento di loro parti ad
unità funzionali non cardiologiche confonde i percorsi
diagnostico-terapeutici mettendo a rischio l’appropriatezza
clinica e limitando la continuità assistenziale.
-
Le superspecialità
cardiologiche devono essere funzionali alla CENTRALITA’
CLINICA e devono operare in modo integrato nell’ambito delle
Unità operative/Dipartimento cardiovascolare.
La scelta fatta di realizzare la
rete integrata in cardiologia sposta l’attenzione dalla
PRESTAZIONE all’intero PERCORSO ASSISTENZIALE con l’obiettivo
che questo possa svolgersi in modo UNITARIO per:
Ø
Garantire
continuità assistenziale
Ø
Evitare
duplicazioni di servizi
Ø
Favorire la
comunicazione in medicina
Le condizioni poste a base
perché la rete cardiologia integrata funzioni è che vi sia una
cultura organizzativa per intendersi sui percorsi e sugli
obiettivi, una rete informatica per comunicare, una rete
amministrativa per non frazionare le risorse.
L’organizzazione delle reti
interospedaliere per la gestione del paziente con infarto
miocardio acuto ha portato, negli ultimi anni, una significativa
riduzione della mortalità per infarto, e sono diventate un
modello di riferimento in fase di costituzione come quelle per
STROKE. Infatti la neurologia ha seguito la traccia segnata
dalla cardiologia sostituendo lo slogan “IL TEMPO E’ MUSCOLO”
con quello “IL TEMPO E’ CERVELLO” e cercando soluzioni, come le
STROKE UNITS, per la terapia precoce dell’ictus mediante
trombolisi, utili a realizzare una rete integrata per il
trattamento dell’ictus cerebrale acuto. La valutazione di esito
rappresenta il vero metro di efficienza. Quale esito ha avuto il
lavoro della cardiologia negli ultimi 25 anni? Le Unità
coronariche hanno portato la mortalità per infarto dal 30% degli
anni sessanta al 15% degli anni settanta. Successivamente la
mortalità è scesa, con la trombolisi al 10,7%, fino all’attuale
5% in epoca di angioplastica primaria. Necessario è stato poi
nel tempo favorire la trasformazione dell’UNITA’ CORONARICA ad
UNITA’ DI TERAPIA INTENSIVA CARDIOLOGICA. Ciò si è verificata
negli ultimi anni sulla spinta di diversi fattori quali:
Ø
La crescente
complessità clinica dei pazienti afferiti per procedure di
rivascolarizzazione miocardia per cutanea
Ø
La diffusione
della rianimazione preospedaliera (afflusso di un crescente
numero di pazienti vittime di arresto cardiaco)
Ø
Trattamento
intensivo ad alto contenuto tecnologico dei pazienti con
scompenso cardiaco avanzato
Ø
Afflusso di
cardiopatici con comorbidità da trattare in area intensiva
Ø
L’incremento di
patologie cardiovascolari negli anziani
Ø
La gestione dell’instabilizzazione
in portatori di dispositivi
Nella RETE per l’emergenza
cardiovascolare l’unità di terapia intensiva cardiologia, di
qualsiasi livello, viene ritenuta il PERNO attorno al quale
ruota l’organizzazione dell’assistenza al cardiopatico acuto in
quanto è al Centro della rete INTEROSPEDALIERA, e ancora al
CENTRO della rete INTRAOSPEDALIERA per l’assistenza del
cardiopatico instabilizzato, ed è al CENTRO del DIPARTIMENTO
CARDIOVASCOLARE per le proprie specifiche competenze. La
strategia della RETE rappresenta pertanto il punto di
riferimento per prevenire e curare con efficacia. Il modello HUB
e SPOKE individuato garantisce l’equità dell’accesso a tutti i
cittadini, indipendentemente dal luogo in cui si manifesta il
bisogno di assistenza. Tale modello si fonda sull’interazione e
sulla complementarietà funzionale dei PRESIDI e delle STRUTTURE,
indipendentemente dalla loro collocazione fisica ed
amministrativa. Quando una determinata soglia di complessità
assistenziale viene superata, si trasferisce la sede
dell’assistenza da una UTIC ad un’altra più complessa, in base a
protocolli concordati, condivisi, DELIBERATI. Sia le UTIC HUB e
le UTIC SPOKE sono strutture di riferimento ed intervengono in
modo differenziato e sinergico in base alle rispettive dotazioni
e alla complessità dei casi assistiti. I Laboratori di
diagnostica ed interventistica cardiovascolare rappresentano lo
snodo decisivo nel percorso diagnostico terapeutico del
cardiopatico acuto. Il rapido incremento del numero e la
capillare ancorché perfettibile distribuzione delle sale di
emodinamica sull’intero territorio nazionale consentono oggi la
rivascolarizzazione tempestiva della maggior parte dei pazienti
con infarto miocardio acuto. Il modello della rete quindi
sposta l’attenzione della singola prestazione all’interezza del
percorso e permette che singole prestazioni siano assicurate da
strutture diverse coordinate fra di loro. Se la rete per
l’emergenza cardiologia costituisce la risposta ORGANIZZATIVA,
STRUTTURALE, CULTURALE alle necessità di assistenza del
cardiopatico acuto, la RETE per il cardiopatico cronico
rappresenta la risposta al bisogno di cure cardiologiche
croniche. L’aggettivo “cronico” non va inteso come sinonimo di
“senza speranza di guarigione” o “invalidante” o “terminale”
bensì va riferito al paziente portatore di una patologia
cardiovascolare, sintomatica o meno, destinata a persistere nel
tempo ed a rischio di progressione e riacutizzazione, e tale
quindi da necessitare una presa in carico globale da parte di
un team medico-infermieristico.
Il principio della continuità
assistenziale ha un ruolo centrale in tutti i disegni
organizzativi ed assistenziali del paziente cronico e deve
favorire il più possibile l’integrazione organica fra le diverse
strutture ospedaliere e fra Ospedale e Territorio.
L’approccio multidisciplinare è
strumento insostituibile per la cura delle patologie croniche
tipicamente negli anziani. Sulla base delle specifiche
caratteristiche del paziente e della fase della malattia, la
presa in carico dovrà avere carattere di flessibilità mettendo
comunque sempre al primo posto la necessità di una competenza ed
esperienza cardiologia adeguata alla tipologia dei pazienti in
carico. Il concetto di gradualità delle cure ben si adatta anche
al paziente cronico che necessita di una risposta differenziata
e complementare di fronte alla molteplicità delle esigenze
cliniche, della tipologia delle strutture e dei differenti
livelli di competenze all’interno dell’offerta assistenziale
ospedaliera e territoriale. Il modello organizzativo che
garantisce la gradualità delle cure è quello basato sul
principio della rete cardiologia integrata tra ospedale e
strutture sanitarie territoriali (ambulatori cardiologici,
distretti, assistenza primaria e domiciliare) con al centro il
paziente cardiopatico cronico. La rete collega medici di
medicina generale, ambulatori specialistici, reparti di
cardiologia, centri di riferimento con l’intera gamma delle
disponibilità tecnologiche, dall’emodinamica
all’elettrofisiologia, dalla cardiochirurgia al programma di
trapianto cardiaco, dando forma, anche nella rete per il
paziente cronico, al modello HUB e SPOKE.
Un sistema che garantisca la
continuità delle cure è fondamentale nell’assistenza ai pazienti
acuti, subacuti e cronici, nella gestione dei quali soltanto un
modello organizzativo dipartimentale è in grado di assicurare la
necessaria integrazione tra le diverse articolazioni
assistenziali (ambulatori, day hospital, day surgery, day
service, ospedalizzazione domiciliare, cure primarie, strutture
per acuti, strutture residenziali, strutture riabilitative,
ecc….) riportando ad UNITA’ momenti assistenziali diversi per
tipologia ed intensità di cura.
Il modello dipartimentale,
solidamente supportato da motivazioni di ordine demografico,
epidemiologico, socio-culturale, tecnico, organizzativo ed
economico, verrà disegnato scegliendo di volta in volta la
tipologia che meglio corrisponde alla specifica realtà, venendo
a configurarsi come DIPARTIMENTO aziendale o interaziendale,
strutturale o funzionale, ospedaliero, extraospedaliero o misto.
La flessibilità con cui il DIPARTIMENTO CARDIOVASCOLARE può
prendere forma nei diversi contesti sanitari ne garantisce la
fattibilità e l’operatività. Tale modello è in grado di generare
cultura, sviluppare sistemi informaci interattivi, favorire e
promuovere l’integrazione interprofessionale ed il lavoro di
gruppo, implementare sistemi di verifica della Qualità,
permettere l’elaborazione di linee guida, diffondere programmi
di formazione.
Il ruolo del DIPARTIMENTO
CARDIOVASCOLARE nell’assicurare la GRADUALITA’ delle cure si
esprime in:
Ø
programmi
nazionali di prevenzione cardiovascolare
• cure in ospedale
-
paziente in emergenza, bisognoso di sostegno delle
funzioni vitali (Pronto Soccorso cardiologico o terapia
intensiva cardiologia)
-
paziente acuto non differibile (terapia intensiva o
reparto cardiovascolare)
-
paziente bisognoso di ospedalizzazione programmata per
patologia medica o chirurgica non altrimenti trattabile (Reparto
medico-chirurgico cardiovascolare)
-
paziente trattabile in regime di ospedalizzazione diversa
-
paziente in Riabilitazione in regime di degenza
• cure fuori dall’ospedale
-
paziente ambulatoriale
-
paziente in fase di recupero funzionale (riabilitazione
ambulatoriale)
-
paziente cronicamente stabilizzato, con differente grado
di dipendenza, bisognoso di assistenza residenziale
-
paziente bisognoso di assistenza domiciliare
-
rapporto con il Distretto e interazione con il medico di
medicina generale.
Il DIPARTIMENTO CARDIOVASCOLARE
consente il superamento dei vincoli delle SOTTOSPECIALITA’, con
soluzioni duttibili e innovative per una CARDIOLOGIA che cambia.
Valgono per esempio il ridimensionamento della cardiochirurgia
tradizionale e della chirurgia vascolare a opera delle nuove
soluzioni interventistiche, che vedono spesso i cardiologi
risolvere problemi che erano dei chirurghi. Solo l’integrazione
culturale e logistica all’interno del DIPARTIMENTO d’organo
permette di ottenere il vantaggio della sinergia tra
l’innovazione tecnologica, capacità tecniche, esperienza
clinica, appropriatezza di indicazioni e assistenza adeguata.
Oggi in alcune Regioni si sta
percorrendo l’ipotesi di un nuovo modello di assistenza
ospedaliera incentrato sulla “INTENSITA’ delle cure”. Il livello
1,unificato, comprende la terapia intensiva e subintensiva. Il
livello 2, articolato almeno per area funzionale, comprende il
ricovero ordinario e il ricovero a ciclo breve che presuppone la
permanenza di almeno una notte in ospedale. Il livello 3,
unificato, è invece dedicato alla cura postacuzie o Low care.
Se applicato alla Cardiologia
tale modello comporta il rischio di frammentare collaudati
percorsi assistenziali e di rappresentare un regresso in termini
clinici ed organizzativi, riducendo l’efficacia delle cure e
disperdendo un patrimonio di esperienza accumulata in oltre 40
anni di evoluzione della disciplina. Tale modello inoltre espone
al futuro rischio di perdita della identità e specificità
culturale cardiologia, non riflette l’attuale CLINICAL
COMPETENCE, determina commistione di altre specialità nel
continuum clinico-diagnostico e teraupetico cardiologico,
perdita di credibilità da parte del cittadino che si
rivolgerebbe ad altre strutture specialistiche, degenze brevi
non supportate da un’assistenza del territorio debole, scomparsa
delle UTIC dei piccoli ospedali e mutamento della rete HUB e
SPOKE.
La cardiologia italiana invece
propone il modello della “GRADUALITA’ DELLE CURE” all’interno
del DIPARTIMENTO CARDIOVASCOLARE. In tale contesto andranno
ricercate soluzioni di efficienza organizzativa che favoriscano
il contenimento dei costi.
La cardiologia, pur nelle sue
diverse sottospecialità, è organizzata in percorsi unitari
incentrati sul cardiopatico. L’ipotesi di assegnare il
cardiopatico non ad una continuità culturale ma ad una per
“intensità di cura” non appare ragionevole.
Il modello “gradualità delle
cure” potrà coniugare l’efficienza con l’efficacia e con la
valorizzazione delle capacità professionali degli operatori
tenendo conto degli specifici contesti assistenziali.
Una nuova
missione? Non credo
UNA NUOVA VISIONE? Senza
dubbio si. La visione
di chi vuole restituire unità non solo al sistema
cardiovascolare, ma alla persona malata.
