UNA PERICOLOSA ASSOCIAZIONE…..
Generoso Mastrogiovanni, Antonio Longobardi, Paolo Masiello,
Antonio Panza, Francesco Cafarelli, Severino Iesu, Giuseppe Di
Benedetto
Dipartimento “Cuore” – Struttura Complessa di Cardiochirurgia
A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona
Caso clinico:
Nel luglio 2008 un maschio di 72 anni si presentò alla nostra
osservazione in seguito a comparsa, da circa due giorni, di
dispnea associata a sudorazione profusa ed angor.
All’auscultazione toracica era presente un soffio sistolico
precordiale di intensità pari a 4/6, mentre
l’elettrocardiogramma evidenziò un ritmo sinusale (circa 75 bpm)
ed assenza di segni di ischemia pregressa o in atto. L’esame
ecocardiografico mostrò una stenosi aortica severa (velocità
massima: 4,16 m/sec, gradiente massimo: 69,2 mmHg, gradiente
medio: 43 mmHg), ma a catturare la nostra attenzione fu,
soprattutto, l’aspetto “spongioso” dei segmenti distali del
setto interventricolare, della parete anteriore e laterale,
caratterizzati dalla presenza di due strati distinti all’interno
della parete miocardica: uno di maggior spessore non compatto, a
livello endocardico, che comprendeva trabecolature e recessi
interposti ed uno sottile e compatto, epicardico. Il rapporto
tra questi due strati era >2 nel punto di massimo spessore,
criterio che ci permise di confermare la diagnosi di miocardio
non compatto. Inoltre, la funzione di pompa risultava
globalmente depressa (frazione d’eiezione circa 40%) ed era
presente un’ectasia dell’aorta ascendente (diametro massimo 45
mm). Ai fini di una maggiore accuratezza diagnostica
preoperatoria, il paziente è stato sottoposto a risonanza
magnetica nucleare che ha confermato sia la severità della
stenosi valvolare aortica che la presenza di miocardio non
compatto ed ad esame coronarografico che ha evidenziato
coronarie indenni da lesioni aterosclerotiche. Dopo poche
settimane il paziente è stato sottoposto ad intervento
chirurgico di sostituzione valvolare aortica (utilizzando una
protesi biologica di 25 mm di diametro) ed a plastica riduttiva
dell’aorta ascendente. Tale procedura è stata eseguita in
ipotermia moderata (33°C) ed i tempi di circolazione
extracorporea e di clampaggio aortico furono rispettivamente di
70 e 53 minuti. Il decorso postoperatorio è stato complicato
dalla comparsa di un episodio di tachicardia ventricolare
sostenuta risoltosi dopo somministrazione di lidocaina e.v. ed
il paziente è stato dimesso in sesta giornata postoperatoria. A
due anni di distanza dall’intervento chirurgico il paziente è in
buone condizioni cliniche generali, asintomatico per angor e
dispnea e non ha più avuto episodi aritmici. All’ultimo
controllo ecocardiografico la valvola protesica appare
normofunzionante, e la funzionalità del ventricolo sinistro
risulta leggermente migliorata (FE 45%).
Discussione:
Il miocardio non compatto o “spongioso” è una rara
cardiomiopatia congenita caratterizzata da alterazioni
strutturali del miocardio secondarie ad un arresto intrauterino
della compattazione delle fibre miocardiche. Il quadro
morfologico che ne deriva è caratterizzato da trabecolature
aggettanti nel lume ventricolare sinistro, associate a profondi
recessi intertrabecolari. La diagnosi si fonda su criteri
ecocardiografici e la malattia può estrinsecarsi con un ampio
spettro di quadri clinici che vanno dalla completa assenza di
sintomi fino a manifestazioni tromboemboliche, aritmie maggiori
o quadri conclamati di scompenso cardiaco. La rarità di questa
malattia ha reso problematica la raccolta di dati di follow-up a
medio-lungo termine su casistiche sufficientemente ampie.
Diversi lavori, tuttavia, evidenziano che tale condizione è
associata ad una prognosi piuttosto severa, soprattutto per i
soggetti con evidenza strumentale di disfunzione ventricolare
sinistra o segni di scompenso cardiaco al momento della
diagnosi. Il caso da noi citato riguarda una rarissima
associazione tra stenosi valvolare aortica e miocardio non
compatto. La decisione di procedere con l’intervento chirurgico
è stata dettata dall’ipotesi che l’ostruzione all’efflusso
ventricolare sinistro era responsabile almeno quanto la
cardiomiopatia di base del progressivo deterioramento della
funzione contrattile cardiaca e che rimuovendo la stessa, in
una fase in cui non vi erano segni clinici di severo scompenso
cardiocircolatorio, si poteva assistere ad un parziale recupero
della frazione d’eiezione. Infatti, il miglioramento della
performance cardiaca sia nell’immediato periodo postoperatorio
che a medio termine ha confermato tale ipotesi, giustificando
l’esecuzione dell’intervento chirurgico anche in questa classe
di pazienti tradizionalmente considerata ad elevatissimo rischio
operatorio, prima che la malattia evolva verso quadri di severa
disfunzione ventricolare sinistra. Tuttavia l’evoluzione della
cardiomiopatia non è da escludere, rendendo necessari controlli
cardiologici periodici (almeno ogni sei mesi).