L’Ipertensione arteriosa tra linee guida e pratica clinica: il parere del  Medico di Medicina generale

 

  Luigi Di Gregorio, Mmg

 

 

Il Paziente iperteso nella pratica clinica quotidiana

 

L’ipertensione arteriosa è considerata uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare, responsabile nel  mondo di circa 7 milioni di morti. Anche se il trattamento riduce questo rischio, la percentuale di pazienti ipertesi che hanno valori pressori controllati in modo efficace (<140-90 mmHg) è veramente limitata con valori che in Italia non superano il 30-40%.

I motivi di questo inefficace controllo dell’ ipertensione sono attribuibili sia alla mancata diagnosi che al mancato trattamento o al trattamento inefficace dei pazienti ipertesi. Il quadro clinico è poi ancor più complicato dal fatto che in numerosi pazienti la patologia è complicata da fattori di rischio aggiuntivi, come il diabete mellito o l’ ipercolesterolemia, da danno d’ organo, come l’ ipertrofia ventricolare sinistra, o da malattie associate, come la cardiopatia ischemica e l’ insufficienza renale.

In questi pazienti il rischio cardiovascolare aumenta in modo espnenziale e, di conseguenza, gli obiettivi terapeutici devono essere più rigorosi. Tutto ciò indica la necessità di migliorare le conoscenze del Medico, che deve essere motivato e responsabilizzato nella corretta impostazione diagnostica e terapeutica di questa malattia, soprattutto in considerazione di altri fattori di rischio o di frequenti comorbilità.

Il primo obiettivo della terapia antipertensiva è e rimane  la riduzione dei valori pressori.

Raggiungerne un soddisfacente controllo non è sempre facile come dimostrato dalla percentuale relativamente bassa di pazienti ipertesi che raggiungono il “target”. La scelta del trattamento iniziale da prescrivere al paziente iperteso è solo il primo passo di un lungo percorso volto ad identificare il trattamento “ideale” nel singolo paziente, un processo che richiede tempo e collaborazione tra medico e paziente perché possa essere completato con successo.

Inizia infatti solo allora una lunga fase di verifica dell’efficacia ipotensiva e della tollerabilità della terapia, che si identifica di fatto con il follow-up dell’iperteso.

1.Efficacia antipertensiva

Attraverso meccanismi d’azione differenti i farmaci antipertensivi appartenenti alle diverse classi determinano, in media, ai dosaggi usualmente raccomandati, riduzioni pressorie simili. La pratica clinica quotidiana evidenzia però come la risposta pressoria individuale spesso sia assai differente cosicché è indispensabile valutare caso per caso l’andamento pressorio nelle settimane successive all’inizio della terapia per giudicarne l’efficacia. E’ indispensabile che i farmaci abbiano una durata d’azione sufficientemente lunga per poter consentire la monosomministrazione giornaliera e ciò è solitamente ottenibile o attraverso molecole con lunga emivita o con una formulazione farmacologica a lento rilascio.

La potenza e la durata d’azione dei farmaci sono parametri di cruciale importanza per  un’appropriata utilizzazione degli antipertensivi.  Il controllo della PA, infatti, deve essere ottenuto attraverso una bilanciata riduzione dei valori nell’arco di tutte le 24 ore senza oscillazioni tra l’azione del farmaco al tempo di “picco” (massima efficacia farmacologica” e al tempo di “valle” (prima della successiva somministrazione)..

2.Tollerabilità

Il farmaco antipertensivo non dovrebbe avere  effetti collaterali di rilievo e dovrebbe, nel contempo, possedere effetti specifici  sull’eventuale danno d’organo o sulle patologie associate tenendo conto del profilo metabolico del paziente. Anche se studi di confronto non hanno evidenziato differenze consistenti di tollerabilità complessiva tra le diverse classi di farmaci antipertensivi, le singole molecole differiscono assai nel profilo degli effetti collaterali che il loro uso può determinare.

Poiché la compliance alla terapia antipertensiva dipende da quanto il farmaco risulta tollerato dal paziente, è fondamentale monitorare con attenzione questo aspetto e modificare il trattamento di conseguenza, se necessario.

È importante comunque sottolineare come gli studi che hanno valutato la qualità di vita nei soggetti ipertesi hanno documentato come questa  risulti per molti aspetti significati- vamente migliore.

3.Terapia di associazione

A differenza di quanto suggerito qualche anno fa con un approccio rigido “a gradini”, oggi le diverse linee guida consigliano un atteggiamento terapeutico assai più flessibile e ritagliato sul singolo paziente.

Dopo aver identificato il farmaco da utilizzare inizialmente lo si prescrive a bassa dose e se ne verifica l’effetto e la tollerabilità. Se la dose iniziale è sufficiente a controllare adeguatamente i valori pressori senza determinare la comparsa di effetti indesiderati si è già raggiunto il traguardo (che però sarà importante mantenere nel tempo). Se invece l’effetto antipertensivo è solo parziale si potrà aumentare gradualmente il dosaggio o associare un secondo e, talora, un terzo farmaco con meccanismo d’azione differente; in genere un diuretico è il farmaco ideale da associare, se non è stato già scelto inizialmente. In caso di mancato effetto antipertensivo o di comparsa di significativi effetti collaterali è indispensabile sostituire il farmaco con un altro.

La terapia di associazione è, pertanto, rivolta a tutti quei Pazienti nei quali non si riesce ad ottenere la normalizzazione dei valori pressori con la monoterapia. L’associazione di due principi attivi, se eseguita in modo razionale porta ad un effetto di potenziamento ottenendo un’efficacia decisamente superiore alla somma dell’efficacia dei singoli principi attivi, senza modificarne la tollerabilità.

Nel procedere a identificare il regime terapeutico più appropriato è importante:

- ridurre i valori pressori con gradualità, ricordando che un lento ritorno a valori normali permette il ripristino del range originale dell’autoregolazione del flusso ematico, evitando episodi ischemici potenzialmente pericolosi;

- scegliere farmaci e cadenze di somministrazione tali da ridurre i valori pressori nel modo il più omogeneo possibile nell’arco delle 24 ore.

- tener conto delle caratteristiche del singolo individuo e quindi procedere in funzione del grado di rischio cardiovascolare globale del paziente e, in particolare, dei livelli di pressione arteriosa.

In presenza di valori pressori di base particolarmente elevati potrà essere necessario partire con più di un farmaco o utilizzare dosi di partenza più elevate.

Nonostante la terapia antipertensiva debba essere considerata nella maggior parte dei casi una terapia a vita, è pensabile che dopo un prolungato periodo di adeguato controllo dei valori pressori, si possa tentare una lenta riduzione della dose e del numero dei farmaci antipertensivi, ovviamente sotto stretta sorveglianza.

4.Ipertensione resistente o refrattaria

Se i valori pressori si mantengono elevati nonostante la presenza di una terapia antipertensiva appropriata che include tre farmaci a dose piena tra i quali è presente un diuretico generalmente si parla di ipertensione resistente al trattamento. È questa una condizione che per la sua complessità può trarre giovamento dalla consultazione di uno specialista.

Innanzitutto occorre escludere la presenza di una pseudoresistenza legata ad una misurazione non corretta o non rappresentativa dei valori usuali di pressione fuori dall’ambulatorio medico (ipertensione da “camice bianco”).

Tra le vere cause di resistenza occorre pensare alla possibilità di una forma secondaria o all’uso di sostanze ipertensivanti o che interferiscono con i farmaci antipertensivi utilizzati. Una frequente causa di ipertensione resistente tra i pazienti che giungono all’osservazione dello specialista è un regime terapeutico inadeguato, generalmente per l’uso di basse dosi dei farmaci scelti, o inappropriato, in genere per l’uso di un’insufficiente dose di diuretico. La causa di gran lunga più frequente di apparente resistenza al trattamento antipertensivo rimane comunque la scarsa aderenza da parte del paziente al trattamento consigliato, farmacologico e non farmacologico (Tab. I). Quest’ultimo motivo è anche il più difficile da correggere: fondamentale è coinvolgere il paziente nella gestione del problema, semplificando lo schema terapeutico che deve risultare il più tollerabile possibile.

 

Tabella I. Principali cause di inadeguata risposta alla terapia antipertensiva.

 

Cause di ipertensione resistente

Stile di vita scorretto (incremento di peso, fumo, eccessiva assunzione di alcolici)

Scarsa aderenza alla terapia farmacologica prescritta

Uso di farmaci/sostanze che elevano i valori pressori di per sé o interferendo con i trattamenti in corso (simpaticomimetici, decongestionanti nasali, anoressizzanti, contraccettivi orali, antinfiammatori steroidei e non steroidei, antidepressivi, eritropoietina, ciclosporina, caffeina, cocaina, liquirizia, ecc.)

Regime terapeutico inadeguato (dosaggi insufficienti, associazioni improprie, ecc.)

Sovraccarico di volume plasmatico (terapia diuretica inadeguata, insufficienza renale progressiva, eccessivo consumo di sale)

Cause di pseudoresistenza

Ipertensione da “camice bianco”

Uso di un bracciale di normali dimensioni in un paziente obeso

Pseudo-ipertensione in soggetti molto anziani con marcata aterosclerosi

 

 

Criteri nella scelta del trattamento antipertensivo

 

La tempestività dell’intervento terapeutico dipende dal livello di rischio cardio-vascolare totale. Quando i valori pressori sono nei range normale-alto (130-139/85-89 mmHg), la decisione relativa al trattamento farmacologico dovrebbe dipendere dal rischio del soggetto.

In caso di ipertensione grado 1, 2 e 3 (OMS) sono raccomandate le modifiche dello stile di vita non appena viene posta diagnosi di ipertensione o esiste il sospetto.

Il trattamento farmacologico dovrebbe essere iniziato immediatamente nei pazienti ipertesi di grado 3, così come nei grado 1 e 2 in presenza di un profilo di rischio cardiovascolare elevato o molto elevato. Nell’ipertensione di grado 1 e 2, con un rischio cardiovascolare moderato, la terapia farmacologica dovrebbe essere posticipata di qualche settimana e addirittura di qualche mese in caso di ipertensione di grado 1 in assenza di altri fattori di rischio.

In questi pazienti il mancato controllo pressorio dopo l’impostazione di modifiche dello stile di vita, richiede l’intervento di terapie farmacologiche. In presenza di diabete, storia di malattia coronarica, cerebrovascolare o vasculopatia periferica, i trials clinici hanno dimostrato che il trattamento antipertensivo si associa a una riduzione di eventi fatali e non fatali. (Tab. II)

Scelta del farmaco: monoterapia

I farmaci antipertensivi delle cinque classi principali sono tutti dotati di efficacia antipertensiva ben documentata e in grado di ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari. I farmaci indicati come scelta terapeutica con cui iniziare e proseguire il trattamento, sia in monoterapia sia in associazione, sono:

• diuretici tiazidici;

• calcio-antagonisti;

• ACE-inibitori;

• bloccanti dei recettori dell’angiotensina II ;

• betabloccanti.

Scelta del farmaco: terapia di associazione

Le associazioni tra due farmaci che nei trials clinici si sono rivelate dotate di maggior efficacia e tollerabilità sono

• diuretici tiazidici + ACE-inibitori;

• diuretici tiazidici + bloccanti recettoriali dell’angiotensina II;

• calcio-antagonisti + ACE-inibitori;

• calcio-antagonisti + bloccanti recettoriali dell’angiotensina II;

• calcio-antagonisti + diuretici tiazidici;

• betabloccanti + calcio-antagonisti (diidropiridinici)

La stragrande maggioranza di trial clinici randomizzati hanno confermato che i principali benefici della terapia antipertensiva dipendono dalla riduzione dei valori pressori di per sé, e solo in parte dal tipo di farmaco impiegato, e che i farmaci utilizzati sono tutti dotati di efficacia antipertensiva ben documentatata. E’ quindi possibile concludere che le classi principali di farmaci sono tutte indicate come scelta terapeutica per iniziare e proseguire il trattamento, sia in monoterapia che in associazione.

Per il trattamento iniziale del paziente, in assenza di indicazioni particolari guidate dalla situazione clinica, è ragionevole prendere in considerazione farmaci ben sperimentati e di basso costo, quali diuretici tiazidici a basse dosi, beta bloccanti ed ace inibitori.

E’ stato tuttavia evidenziato che le cinque classi di farmaci possono differenziarsi tra loro per alcune proprietà terapeutiche e caratteristiche specifiche, che rendono più appropriato il loro impiego in situazioni cliniche definite.

Fattori da considerare nella scelta terapeutica:

- L’esperienza che il paziente ha accumulato in precedenza con l’impiego di una determinata classe di antipertensivi, in termini di efficacia e di effetti collaterali;

- gli effetti del farmaco sui fattori di rischio cardiovascolare in relazione al profilo di rischio del singolo paziente;

- la presenza di danno d’organo e di patologie cardiovascolari, renali o di diabete clinicamente manifesto, che possono trarre maggior beneficio dal trattamento con alcuni farmaci rispetto ad atri;

- la presenza di altre patologie concomitanti che possono favorire o limitare l’impiego di

specifiche classi di farmaci antipertensivi;

- la possibilità di interazione con altri farmaci che il paziente assume per altre patologie

concomitanti;

- il costo dei vari farmaci sia a carico del paziente che a carico della struttura pubblica di Riferimento. (Tab. III)

Il Mmg e la scelta razionale della terapia

 

Gli inviti rivolti al Mmg a “risparmiare” sulla spesa farmacologia sono sempre più pressanti. Gli antipertensivi sono uno dei capitoli di spesa più spesso citati per importanza e per il ruolo primario giocato dal Mmg. Fatto salvo l’imperativo etico di curare al meglio il paziente in base alle evidenze scientifiche, è però necessario considerare seriamente la possibilità di utilizzare al meglio le risorse disponibili, tenendo presente che, in base ai dati epidemiologici citati, vi è la necessità di trattare più pazienti e in modo verosimilmente più intenso. Ma quali sono le fonti di “spreco” in campo antipertensivo? La scelta di farmaci costosi quando ve ne sono di più economici a parità di efficacia è sicuramente quella più citata.  È certamente vero che un certo numero di pazienti che non presenta indicazioni e controindicazioni specifiche inizia la terapia con farmaci più costosi di altri. Questo atteggiamento terapeutico non può essere ritenuto corretto: a parità di efficacia è sempre opportuno scegliere il farmaco meno costoso, sia esso il primo, il secondo o il terzo introdotto in terapia. È per altro vero che il fenomeno è probabilmente molto meno rilevante di quanto appaia per i seguenti motivi:

a) molti soggetti hanno indicazioni e controindicazioni specifiche;

b) una percentuale significativa di soggetti deve comunque sostituire il primo farmaco in quanto scarsamente efficace;

c) una percentuale rilevante di pazienti deve sostituire il farmaco, anche se efficace, per effetti collaterali;

 

Condizione clinica Farmaci antipertensivi

COND Tabella II: Criteri di scelta del farmaco antipertensivo in particolari condizioni cliniche

Condizione clinica

Farmaci

 

Ipertrofia ventricolare sinistra

ACE-inibitori, calcio-antagonisti, sartani

 

Microalbuminuria

ACE-inibitori, sartani

Danno renale

ACE-inibitori sartani

 

Pregresso ictus      

Qualsiasi farmaco antipertensivo

 

Pregresso IMA      

Betabloccanti, ACE-inibitori, sartani

 

Angina pectoris

Betabloccanti, calcio-antagonisti

 

Scompenso cardiaco

Diuretici, betabloccanti, ACE-inibitori,

 

Fibrillazione atriale parossistica

Sartani, ACE-inibitori Betabloccanti, calcio-antagonisti non    diidropiridinici

 

Insufficienza renale/proteinuria             

ACE-inibitori,bloccanti del recettoredell’angiotensina, diuretici d’ansa

 

Vasculapatia periferica           

Calcio-antagonisti

 

Ipertensione sistolica isolata (anziano)

Diuretici, calcio-antagonisti

 

Sindrome metabolica

ACE-inibitori, sartani, calcio-antagonisti

 

Diabete mellito

ACE-inibitori, sartani

 

Gravidanza

Calcio-antagonisti, metildopa, betabloccanti

 

 

 

                                  

d) la maggior parte degli ipertesi richiede l’associazione di più farmaci per ottenere un adeguato controllo.

Un’altra fonte di spreco è l’interruzione immotivata della terapia. Dati italiani  evidenziano che tra i pazienti che iniziano per la prima volta la terapia antipertensiva, ben il 34,5% la interrompe nel corso dei primi tre anni; di questi alcuni (7,6%) ricominciano la terapia nel corso del terzo anno.

Si tratta di un evidente spreco di risorse, oltre che di un cattivo servizio nei confronti dei pazienti. Forse è in questo campo che si dovrebbe agire con più forza, ponendo maggiore attenzione nel momento della diagnosi e della comunicazione con il paziente. Un fenomeno piuttosto rilevante, e teoricamente facilmente eliminabile, è quello della sostituzione non motivata di una terapia con un’altra già in atto; questo avviene a volte alla dimissione dall’ospedale o dopo una visita specialistica e comporta lo spreco dei farmaci già acquistati dal paziente.

 

I farmaci generici

Un farmaco generico ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità (Art. 10, comma 5 D.Lgs. 219/2006).

In sintesi i farmaci equivalenti o generici devono avere le seguenti caratteristiche:

• non essere coperti da brevetto;

• avere lo stesso principio attivo del farmaco originatore;

• avere la stessa forma farmaceutica di somministrazione;

• avere le stesse modalità di prescrizione (obbligo di ricetta medica, rimborso del SSN);

• avere lo stesso numero di unità posologiche o dosi unitarie per confezione;

• la loro produzione deve essere sottoposta agli stessi controlli e alle stesse procedure di registrazione e vigilanza che il Ministero della salute riserva a tutte le specialità in commercio.

Per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio, le ditte produttrici di farmaci generici sono tenute a dimostrare che il loro farmaco è sostanzialmente simile per efficacia e sicurezza alla prima specialità medicinale registrata. Trattandosi dello stesso principio attivo, non è necessario ripresentare tutto il dossier di efficacia clinica già presentato per la registrazione iniziale, ma è sufficiente dimostrarne la bioequivalenza. Questo termine descrive farmaci che hanno una biodisponibilità simile in condizioni sperimentali simili (stessa velocità di assorbimento e stessa quota assorbita) rispetto alla specialità di riferimento. Avere la stessa AUC (area sotto la curva) è condizione necessaria, ma non sufficiente perché due medicinali siano definiti bioequivalenti. È necessario che anche Cmax (concentrazione al picco) e Tmax (tempo in cui si ha il picco delle concentrazioni plasmatiche) siano sovrapponibili. È di regola ammessa un’oscillazione tra 80% e 125% del prodotto di riferimento per AUC e Cmax.

Per le considerazioni sopradette, il passaggio da un medicinale generico a un altro, commercializzato da un diverso produttore, potrebbe causare un’oscillazione nei parametri cinetici sufficientemente ampia da influenzare in modo significativo il controllo pressorio nel singolo paziente.

Nel caso di sostituzione di un medicinale antipertensivo generico con un altro equivalente, il medico curante deve essere informato adeguatamente, così come il paziente, al fine di comprendere un eventuale peggioramento del controllo dei valori pressori o una eccessiva riduzione della pressione arteriosa

 

 

Tab. III Strategia del follow-up del trattamento

 

 

 

Raggiungimento target presso rio

 

 

 

Mancato target dopo 3 mesi

 

 

Significativi

effetti collateral

Rischio elevato:

 • Rivedere ogni 3 mesi

• Monitorare PA e fattori rischio

• Intensificare modificazioni

dello stile di vita

 

In assenza di risposta, sostituire un farmaco o una combinazione a bassa dose con un’altra

 

Sostituire un farmaco o

una combinazione a bassa

dose con un’altra

Rischio medio-basso

• Rivedere ogni 6 mesi

• Monitorare PA e fattori rischio

• Intensificare modificazioni

dello stile di vita

• Se la risposta è parziale, aumentare la dose, aggiungere farmaco di altra

classe, o passare ad altra comb. a bassa dose

• Intensificare modificazioni

dello stile di vita

Ridurre la dose e

aggiungere un farmaco di

un’altra classe

 

La situazione in Campania

Come ormai succede regolarmente da qualche anno la Regione Campania detta regola proprie sull’appropriatezza prescrittiva di alcuni farmaci, mettendo nel mirino, ovviamente, quelli che hanno un costo maggiore.

Ecco che nella  già complessa applicazione di protocolli e linee guida, nella vecchia e mai sopita polemica tra Mmg e Specialisti, in un pantano di note e prescrizioni, si introduce un ulteriore elemento di confusione: i decreti Commissariali che, nel caso specifico si alternano e si contraddicono a distanza di poche settimane…

Il 20 aprile 2010 il BURC pubblica il decreto n°14 del Commissario ad acta (Bassolino…) sulla razionalizzazione dell’uso dei sartani.

Il decreto si pone l’obiettivo di non superare il 30 % di confezioni di sartani sul totale delle confezioni di farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina. Inoltre, all’interno della categoria, obbliga  i Medici dei a privilegiare il Losartan essendo l’unico sartano con copertura brevettuale scaduta ( e quindi a basso costo). In sintesi su 100 prescrizioni di antipertensivi che agiscono sul meccanismo renina-angiotensina, almeno 70 devono essere ACEI a brevetto scaduto; i rimanenti per la metà devono essere losartan generico e per l’altra metà possono essere sartani a brevetto valido ma solo per particolari condizioni cliniche riportate in scheda tecnica.

Questo avveniva ad aprile, ma a luglio la situazione è cambiata di nuovo. Nuovo Commissario (Zuccatelli…) e nuovo decreto: il n° 44 del 14.07.2010 che sostituisce  il “razionale terapeutico per l’uso dei sartani…” appena citato e precisa che “i farmaci della classe dei sartani a brevetto scaduto non trovano alcuna limitazione prescrittiva se non quella di un appropriato utilizzo. Le altre molecole appartenenti alla suddetta classe coperte ancora da brevetto, possono essere prescritte con indicazione appropriata apponendo sulla ricetta, nella parte destinata al campo regionale, i codici relativi a 5 tipologie di prescrizione.”. Inoltre invita  “tutti i medici prescrittori, laddove lo ritengano possibile, a rivalutare la  terapia in corso secondo i dettami del presente decreto”.

Cade, così la limitazione percentuale prevista però…  “I medici specialisti del SSN e i medici ospedalieri al fine della continuità terapeutica sono tenuti a fornire relazione al medico curante motivando l'eventuale cambio di terapia con altra specialità medicinale. Si ritiene periodo congruo 8 settimane entro le quali non può essere sostituita la specialità prescritta, al fine di valutare, senza alcuna distorsione dei parametri di tipo farmacocinetico, il raggiungimento del target previsto. Quanto sopra deve essere rispettato sia per i principi attivi da soli che per i principi attivi in associazione.

I medici di Medicina Generale, in virtù della conoscenza della storia complessiva del paziente potranno individuare agevolmente, qualora vi siano le condizioni di appropriatezza, le classi di riferimento per la prescrizione riportando sulla ricetta il codice corrispondente.

Alla faccia della semplificazione, della razionalizzazione, della deburocratizzazione!

I Mmg continueranno a dare la massima collaborazione, si atterranno alle disposizioni, utilizzeranno i codici alfa-numerici, si sforzeranno di utilizzare i farmaci a brevetto scaduto o comunque a basso costo, rispetteranno decreti, delibere, leggi e leggine ma solo nella speranza che tutto ciò abbia i connotati della provvisorietà, della eccezionalità di una situazione gravissima di cui la categoria non ha colpa alcuna (la spesa per la farmaceutica è sempre ancorata a quel 13-14% che ci è stato imposto da anni…) e che i sacrifici richiesti (anche in termini di professionalità…) portino ad una nuova definizione dei ruoli della politica da un lato, della professione medica dall’altra evitando che gli Ammalati, veri protagonisti del processo assistenziale e centro motore di ogni Sistema sanitario, ne vengano irrimediabilmente schiacciati.