La  Fibrillazione  atriale  nel  grande  anziano

 

G. D’Angelo, A. Catalano, A.M. Stillo, G. Bottiglieri, P. Bottiglieri*,

M. De Cristofaro*

U.O. Cardiologia P.O. EBOLI - U.O. Cardiologia P.O. Oliveto Citra*- ASL SALERNO

 

Fin dall’antichità si era compreso che le palpitazioni del cuore oltre che fastidiose potevano risultare pericolose e l’osservazione del “polso” permetteva di coglierle perché era “ un messaggero che non sbaglia mai “ (GALENO) . L’aritmia più antica e comune è la fibrillazione atriale (FA), che  rappresenta anche uno dei principali fattori di rischio per l’ictus ischemico. Questo è particolarmente vero nella popolazione anziana. La prevalenza di fibrillazione atriale, infatti, che nella popolazione generale è pari a circa l’1%, aumenta nei soggetti con età avanzata fino a raggiungere percentuali del 4.8% tra i 70 e 79 anni e di oltre il 9% circa negli ultraottantenni(1).

Dunque la prevalenza della FA è fortemente correlata alla senescenza. Nello studio ATRIA (2), condotto negli USA su 1,9 milioni di pazienti con FA il 70%  ha più di 65 anni con un’età mediana di 75 anni. Inoltre, la prevalenza appare maggiore negli uomini rispetto alle donne in tutte le fasce d’età: 1.1% verso 0.8%, nello studio ATRIA (Fig.1).

 

Figura  1

 

 

 

In Italia si può di calcolare che le persone affette da FA siano tra 285.000 e 600.000; la stessa tendenza si osserva per l’incidenza della patologia: nella popolazione generale il tasso di FA è del 2 per cento per arrivare al 13 per cento negli over 80.

Entro il 2050 è previsto un incremento dei casi di patologia, che dovrebbero aumentare di 2,5 volte.

D’altra parte ciò è comprensibile dal momento che la vita media nel 2050 passerà dagli attuali 77 anni per gli uomini ed 83 anni per le donne rispettivamente ad 83 e a quasi 89 anni; pertanto si prevedono oltre 1,5 milioni di persone novantenni.

Attualmente nel Nord America vi sono oltre 2.3 milioni di pazienti con FA ; nel 2050 diventeranno oltre 6 milioni, di cui il 50% con età ≥ 80 a. , con incremento notevole della morbilità e mortalità collegate a questa aritmia: ad esempio ben il 20% di tutti gli stroke embolici sarà associata alla FA.

In Italia la fibrillazione atriale è causa del 3,3 per cento di tutte le ospedalizzazioni e dell’1,5 per cento dei ricoveri in pronto soccorso. La patologia ha un impatto significativo sui costi sociosanitari. Il costo medio di un singolo ricovero è di 5.252 euro.

 

La correlazione tra età e FA è mediata dalla maggiore incidenza con il crescere dell’età di alcuni fattori favorenti l’insorgere dell’aritmia. Di questi i più importanti sono:

-                     Alterazioni del sistema di conduzione

-                     Ipertensione Arteriosa

-                     Scompenso Cardiaco

-                     Disfunzione diastolica

-                     Fibrosi con alterato stiffness delle arterie

-                     Obesità

-                     Diabete mellito

-                     Valvulopatie degenerative

 

 D’altra parte bisogna anche tener presente che la FA frequentemente è asintomatica o parossistica; pertanto il numero di soggetti affetti da questa aritmia potrebbe essere nel mondo reale maggiore di quella rilevata negli studi di popolazione.

Alcuni studiosi affermano che in America il 30-40% della popolazione di età ≥ 85a. è portatrice di questa aritmia cardiaca.

La FA non è mortale ma può portare a morte. Certamente negli anziani con FA, rispetto a quelli di pari età senza tale aritmia, la prospettiva di vita è inferiore e la qualità di vita è peggiore.

La presenza della fibrillazione atriale, in costante crescita visto anche l’aumento dell’età media della popolazione (il 99 per cento dei casi di fibrillazione atriale è diagnosticato dopo i 60 anni), raddoppia il rischio di morte, aumenta il rischio di ictus di almeno cinque volte, fa crescere il rischio di insufficienza cardiaca di 3,4 volte e peggiora la prognosi dei pazienti con fattori di rischio cardiovascolare.

Una sottoanalisi dello studio ALLHAT ( Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial ) ha esaminato la prevalenza al basale e l’incidenza nel corso dello studio di fibrillazione atriale o flutter atriale di nuova insorgenza, e la loro influenza sugli outcome clinici.

La presenza al basale della fibrillazione o del flutter atriale era associata ad un aumento della mortalità ( hazard ratio, HR=2.82; p<0.001 ), ictus ( HR=3.63; p<0.001 ), insufficienza cardiaca          ( HR=3.17; p<0.001), e malattia coronarica fatale o infarto miocardico non-fatale ( HR=1.64; p<0.01 ). Il rischio di mortalità nei pazienti che presentano al basale fibrillazione atriale o flutter atriale, o in cui l’aritmia si è sviluppata nel corso dello studio clinico, è risultato aumentato di 2.5 volte (3). Nei pazienti con FA la prevenzione delle trombo embolie è particolarmente importante, soprattutto se anziani, perché più esposti. Gli stroke nel paziente in età avanzato sono generalmente estesi, gravati da una elevata mortalità in fase acuta e da importanti postumi invalidanti.

I recenti trial di terapia antitrombotica nella prevenzione primaria delle trombo embolie in pazienti anziani con FANV ( FA non valvolare) hanno mostrato che, in assenza di trattamento, l’incidenza di stroke ischemico è del 5% anno (la metà sono invalidanti) e sale al 7% se si considerano anche i TIA e a valori ancora superiori se si valutano anche gli stroke silenti, infarti cerebrali subclinici svelati attraverso la TAC o la risonanza magnetica.

La FA rappresenta pertanto una grave minaccia per il cervello, anche in considerazione del fatto che gli stroke, manifesti e silenti, in oltre 1/3 di questi malati si accompagnano a sviluppo di  depressione, fattore prognostico sfavorevole a breve e lungo termine; inoltre la patologia cerebrovascolare si ritrova nella storia del 20-25% dei casi di demenza (4). 

Il rapporto tra infarti cerebrali silenti, declino cognitivo e demenza è stato confermato da uno studio pubblicato di recente su NEJM (5): la presenza di infarto cerebrale silente, valutato mediante studio con risonanza magnetica nucleare su 1015 persone di età compresa tra 60 e 90 anni, incluse nello studio di Rotterdam, raddoppiava il rischio di sviluppo di demenza in un follow-up medio di 3.6 anni. 

TAB. 1

                                                              

Il principale problema nel paziente con FA è la prevenzione degli eventi embolici, in primis di quelli nel distretto vascolare cerebrale; ciò particolarmente nell’anziano fibrillante, che è, di norma, il malato con rischio embolico più elevato. Negli anni novanta sono stati prodotti un elevato numero di studi sulla efficacia del warfarin, testato versus placebo o aspirina (Tab.1).Certamente il Warfarin è risultato il farmaco più efficace nella prevenzione degli eventi embolici, anche nei pazienti anziani e con rishio elevato ( studi SPAF II e III ).

Negli ultimi anni l’approccio alla terapia di prevenzione dello stroke in pazienti fibrillanti non valvolari è stato attuato utilizzando un algoritmo denominato CHADS2 score (6), mediante il quale è stato preventivato il rischio di stroke prendendo in considerazione 5 variabili, di cui 4 con valore di 1 punto ed una con valore di 2 punti per un totale di 6 punti (Tab.2).

 

Tab.2

 

 

Il punteggio così ottenuto definisce la percentuale di rischio di stroke per anno (7) secondo lo schema qui di seguito riportato (Tab.3):

Tab.3

                                      

 

Le strategie terapeutiche sono definite sulla base di 3 livelli di rischio:  lieve, moderato e moderato-elevato, riferiti rispettivamente ad uno score di 0,1 e ≥ 2 (Tab.4)

 

 

Tab.4

 

 

 

Le nuove linee guida per il trattamento dei pazienti con FA elaborate dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) nell’anno 2010 hanno  evidenziato i limiti di questo score; in molti dei pazienti classificati nel CHADS2 score come malati a rischio intermedio ( score 1 ) possiamo attuare terapia sia con warfarin che con aspirina. In realtà la prevenzione dello stroke, anche in questo gruppo di malati, risulta più efficace se si prescrive l’anticoagulante.

Di qui l’ingresso nella pratica clinica del nuovo score, CHA2DS.VASC score (8), che inserisce nel calcolo nuovi indicatori: la patologia vascolare, l’età tra 65 e 74 anni, il sesso femminile e incrementa il punteggio in pazienti con età ≥ 75 anni.

Pertanto nel  CHA2DS2-VASc scores , il punteggio totale disponibile è 9 dal momento che l’età può essere calcolata 1 o 2  punti.

Nella tabella 5 viene riportato il confronto tra CHADS2 e CHADS2S2-VASc Scores

 

Tab. 5

Stroke risk stratification with the CHADS2 and CHA2DS2-VASc scores

 

CHADS2 acronym

Score

CHA2DS2-VASc acronym

Score

 Congestive heart failure  

 1 

 Congestive heart failure/LV dysfunction

 1

 Hypertension 

 1 

 Hypertension 

 1 

 Aged ≥75 years 

 1

 Aged ≥75 years 

 2 

 Diabetes mellitus

 1

 Diabetes mellitus

 1

 Stroke/TIA/TE

 2

 Stroke/TIA/TE

 2

_____________
Maximum score 

 ___

 Vascular disease (prior MI, PAD, or aortic plaque)

 1

 

 

 Aged 65-74 years

 1

 

 

 Sex category (i.e. female gender)

 1

 

 

____________
Maximum score 

 __
 09  

 

Il CHA2DS2VASc score ha comportato una revisione anche nella classificazione dei fattori di rischio di stroke, secondo quanto riportato nella tabella seguente, ripresa dalle linee guida ESC 2010 sulla fibrillazione atriale.

 

L’approccio alla trombo profilassi nei pazienti con FA è pertanto cambiata, secondo lo schema qui di seguito riportato, tratto dalle linee guida ESC 2010

.

 

Sulla base di queste nuove considerazioni il paziente grande anziano affetto da fibrillazione atriale non valvolare è destinato alla terapia anticoagulante oltre che per l’età, anche per la quasi costante presenza di altri “ clinically relevant non-major risk factors “. Pertanto l’impiego di dicumarolici impone una corretta valutazione del rischio di sanguinamento. Le linee guida ESC 2010 hanno inserito nel decision making della terapia di questi pazienti la quantizzazione del rischio di sanguinamento sulla base di uno score HAS-BLED (9) , che assegna ad alcune variabili cliniche un punteggio di rischio con un valore massimo di 9 punti.

La tabella viene qui riportata integralmente

E’ importante notare che molte delle caratteristiche cliniche alla base del calcolo del rischio di sanguinamento sono le stesse utilizzate nel CHADS2 score; questo spiega il risultato riportato nel lavoro pubblicato su CHEST (9) relativamente alla differenza di valore medio del CHADS2 score tra pazienti con e senza sanguinamento: più elevato nei pazienti che andavano incontro ad episodi di sanguinamento.

 

 

Dunque la terapia mediante anticoagulanti va somministrata con prudenza, in particolare nei pazienti anziani con fibrillazione atriale, ricercando il migliore equilibrio possibile nel bilanciamento tra rischio embolico e rischio emorragico. Nel paziente con più di 75 anni e FANV è necessario fare un primo bilancio sul rischio beneficio del trattamento anticoagulante:

- In presenza di età >75 anni e altri fattori di rischio trombo embolico, il trattamento anticoagulante è fortemente raccomandabile;

- In presenza di età >75 anni e altri fattori di rischio trombo embolico, ma con un profilo emorragico positivo, va valutato il singolo caso;

- In presenza di età >75 anni senza altri fattori di rischio trombo embolico, potrebbe essere più prudente trattare il paziente con “ altro “ soprattutto se contemporaneamente vi è un profilo emorragico positivo.

Ed oggi, la ricerca ci consente di guardare al futuro terapeutico di questi malati con convinta speranza e maggiore serenità.

Il Congresso Europeo di Cardiologia appena concluso, ha acceso i riflettori sul Dabigatran etexilate  un nuovo potente e affidabile inibitore diretto della trombina, messo a confronto con warfarin in

oltre 18.000 soggetti affetti da FA e con almeno un fattore di rischio trombo embolico.

Lo studio RELY (11) ha confrontato l’efficacia e la sicurezza di dabigatran etexilate a due diversi dosaggi (110 mg due volte al giorno e 150 mg due volte al giorno) rispetto alla terapia convenzionale con warfarin. La nuova molecola può essere somministrata per via orale e ha come vantaggio quello di non richiedere il monitoraggio dei livelli di coagulazione. Inoltre, non coinvolgendo il citocromo P450 nel suo metabolismo, non presenta tutte le possibili interazioni con altri farmaci e alimenti, ampiamente descritte per gli anticoagulanti orali inibitori della vitamina K.

L’outcome principale dello studio RE-LY era la valutazione dell’incidenza degli eventi embolici sistemici e degli ictus di tipo sia ischemico sia emorragico. Gli autori hanno riportato un’incidenza annuale dell’endpoint primario significativamente ridotta nei pazienti trattati con dabigatran al dosaggio di 150 mg (1,11%) rispetto a dabigatran al dosaggio di 110 mg (1,53%) e a warfarin (1,69%). Inoltre, il rischio di ictus emorragico è stato significativamente minore nei pazienti trattati con dabigatran (0,12% e 0,10%, rispettivamente con 110 mg e 150 mg) rispetto a quanto osservato con l’anticoagulante tradizionale (0,38%). Infine, anche l’incidenza annuale dei sanguinamenti maggiori è risultata minore per i pazienti trattati con dabigatran (2,71% e 3,11%, rispettivamente per 110 mg e 150 mg, contro il 3,36% con warfarin).

Gli autori concludono che dabigatran al dosaggio più basso (110 mg) è efficace quanto warfarin nel prevenire gli eventi trombo embolici ed è associato a un minor rischio emorragico, mentre a dosaggio più alto (150 mg) è più efficace di warfarin nel prevenire il rischio trombo embolico, ma comporta lo stesso rischio emorragico.

Di qui il nuovo scenario nella terapia in pazienti con FANV:

-                     Se il paziente è a basso rischio di sanguinamento (per esempio HAS-BLED di 0-2), si può prendere in considerazione la somministrazione di dabigatran 150 mg b.i.d., considerata la maggiore efficacia nella prevenzione di ictus e di embolia sistemica con una minore incidenza di emorragia intracranica e tassi di sanguinamento maggiore simili nel confronto con warfarin.

-                     Se il paziente ha un rischio di sanguinamento misurabile (ad esempio un punteggio HAS-BLED ≥ 3), si può somministrare dabigatran etexilato 110 mg bid considerata la efficacia simile al warfarin nella prevenzione di ictus e di embolia sistemica con una minore incidenza di emorragia intracranica e di sanguinamenti maggiori.

-                     Nel paziente con 1 fattore di rischio rilevante “non maggiore “ ( Heart failure or moderate to

            severe LV systolic dysfunction (e.g. LV EF < 40%) Hypertension - Diabetes mellitus                                                                                                           

            Female sex - Age 65–74 years- Vascular disease) possiamo prendere in considerazione il  

            dabigatran 110ng bid considerata l’equivalenza di efficacia con il warfarin nella prevenzione

            dello stroke e delle embolie periferiche con un più basso rischio di emorragie intracraniche e

           di sanguinamenti maggiori anche nei confronti dell’aspirina.

-                     Nei pazienti in cui la terapia con warfarin risulta di difficile attuazione oppure non efficace (è sufficiente ricordare che, nei pazienti trattati con warfarin, l’INR non è nel range terapeutico in circa il 40% dei controlli durante il follow-up).

Relativamente a questo ultimo punto, è del tutto recente un pregevole lavoro sull’ American Journal of Medicine (12) di quest’anno nel quale sono stati arruolati 171,393 pazienti affetti da fibrillazione atriale e/o flutter atriale con CHADS2 score di 0 (basso rischio) nel 20.0%, 1-2 (rischio moderato)  nel 61.6% e   3-6 (alto-rischio) nel 18.4% .

Il warfarin è stato prescritto nel 42.6% dei pazienti e non vi erano differenze in termini di percentuali di utilizzo del warfarin nelle varie classi di rischio CHADS2 . Peraltro nei pazienti ad alto rischio (punteggio CHADS2 pari a 3 - 6) solamente il 42.1% era in terapia con warfarin. Inoltre solamente il 29.6% dei pazienti ad alto rischio, il 33.3% di quelli con rischio moderato e il 34.1% dei pazienti a basso rischio assumevano ininterrottamente il warfarin per 6 mesi successivi alla prescrizione. Questo studio evidenzia come nel 'real world' la terapia anticoagulante sia sottoutilizzata rispetto alle raccomandazioni; si calcola che non più del 50% dei pazienti che necessitano di terapia anticoagulante, la pratichino e che tra questi non oltre il 60% , pur se oggetto di trails, riescono a mantenere il range terapeutico, soprattutto se anziani.

Ancora una novità dal Congresso ESC 2010 di Stoccolma nel campo della prevenzione dello stroke in pazienti con FANV : i risultati dello studio AVERROES (13) sull’impiego di Apixaban, un nuovo inibitore selettivo del fattore Xa della coagulazione.

Lo studio ha arruolato  5.500 pazienti, di età media 70 ± 10a. affetti da fibrillazione atriale (FA) non in grado di seguire la terapia con warfarin (il 40% lo aveva iniziato ma poi sospeso ed il 60% era controindicato) divisi in due gruppi di trattamento: apixaban 5 mg bid (in pochi casi 2,5mg bid) e ASA 81-324 mg/die. Obiettivo principale dello studio era misurare l'incidenza di Stroke e eventi embolici sistemici in un follow-up di 3 anni. Lo studio è stato interrotto precocemente dopo 1 anno per eccesso di beneficio nel braccio Apixaban, che ha ridotto il rischio di stroke o di eventi embolici sistemici del 54% vs ASA senza aumentare il rischio di emorragie e senza alterare i parametri di funzionalità epatica.

L’ANMCO e la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti hanno affrontato in un recente simposio congiunto il problema della fibrillazione atriale come malattia tipica del paziente anziano. Ed è proprio sui pazienti anziani che cardiologi e internisti si trovano frequentemente a lavorare insieme. Quasi tutti gli anziani con fibrillazione atriale hanno patologie di base: scompenso, fase terminale di una cardiopatia, tumore, edemi polmonari, alcolismo. Si spiega così la grande prevalenza di fibrillazione atriale in questa fascia d’età: la vita media aumenta, le cardiopatie sono curate meglio, la durata della malattia è estremamente più lunga.

La fase più avanzata di malattia si associa alla fibrillazione che diventa quindi anche un marker di gravità dei pazienti. In queste condizioni diventa difficile scegliere la terapia antiaritmica per la popolazione anziana Tutti gli antiaritmici di classe 1 non sono assolutamente indicati per chi soffre di cardiopatie. In questo modo molti pazienti con disfunzione ventricolare sinistra non possono usufruirne. Per loro la terapia prevede unicamente l’amiodarone.

Finalmente fa il suo ingresso nella farmacopea europea per il trattamento di pazienti con FA il Dronedarone (400 mg 2 volte al giorno), farmaco di lunga gestazione, entrato come "first choice of treatment" nel mantenimento del ritmo sinusale in pazienti con FA senza cardiopatie associate o con cardiopatie associate ma in assenza di un quadro di scompenso cardiaco in classe III-IV della NYHA (dove l’amiodarone la fa ancora da padrone).

Le nuove linee guida della Società Europea di Cardiologia per il trattamento della Fibrillazione Atriale, presentate di recente a Stoccolma in occasione del congresso annuale, raccomandano Dronedarone nella prevenzione di una recidiva di FA o per diminuire la frequenza ventricolare, dal momento che questa molecola rappresenta, in alcuni casi, l’alternativa all’amiodarone (14)   

Dronedarone rappresenta un nuovo trattamento farmacologico per la cura di questa aritmia ed è l’unica molecola che abbia dimostrato una riduzione combinata del rischio di ospedalizzazione per evento cardiovascolare o morte per qualsiasi causa del 24%, con riduzione del 26% del rischio di ospedalizzazione per causa cardiovascolare e del 16% di morte per ogni causa (15). Inoltre consente di ridurre la frequenza cardiaca anche nei pazienti che rimangono fibrillanti e non presenta effetti proaritmici.

Nello studio ATHENA questo farmaco ha mostrato anche di ridurre del 34% il rischio di ictus in questa tipologia di pazienti.

Altro punto di forza di questo nuovo antiaritmico è l’aderenza alla terapia da parte del paziente e la sicurezza d’impiego, due fattori chiave quando si progetta un trattamento destinato a protrarsi nel tempo, soprattutto se si parla di pazienti anziani.

 Avere a disposizione Dronedarone, significa trattare questi pazienti  con maggior tranquillità riducendo il rischio di indurre effetti collaterali, come un’alterazione della funzione tiroidea sia in senso iper che ipo, effetti che frequentemente insorgono in corso di altro trattamento.

C’è una tendenza all’interventismo nei dipartimenti di cardiologia italiani, anche se l’ablazione non “promette”  la sospensione della terapia anticoagulante e quindi è certo un’opportunità notevole, ma da applicare su pazienti molto selezionati: quando l’anticoagulazione è controindicata, quando ci si trova di fronte ad un alto rischio di embolia e nello stesso tempo alla impossibilità di trattare il paziente, quando diventa una necessità per il raggiungimento di un efficace equilibrio emodinamico e/o per la ridotta qualità di vita del malato.
Rimane il problema del paziente che non può assumere anticoagulanti. L’alternativa è la chiusura dell’auricola sinistra con un device impiantato per via percutanea, ma non è un trattamento ancora raccomandato e deve essere ancora oggetto di riflessione.
Certamente la chiusura dell’auricola può avere delle grandi applicazioni, soprattutto se i registri di questi casi verranno ben tenuti, in modo da monitorare i buoni risultati e permettere poi un’applicazione più estesa, più sicura e con effetti collaterali minimi.

                                                            Bibliografia

 

1)                 Independent risk factors for atrial fibrillation in a population-based cohort. The Framingham Heart Study:                                                                                             Jama 1994; 271:840-44

2)                 Prevalence of Diagnosed Atrial Fibrillation in Adults: National Implications for Rhythm Management and Stroke Prevention: the AnTicoagulation and Risk Factors In Atrial Fibrillation (ATRIA) Study
Alan S. Go et al. JAMA. 2001;285:2370-2375

3)                 Atrial Fibrillation at Baseline and During Follow-Up in ALLHAT (Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial

L. Julian Haywood, MD* et al. : J Am Coll Cardiol, 2009; 54:2023-203

4)   The Rotterdam Study: objectives and design update     Albert Hofman et al: Eur J Epidemiol. 2007 November; 22(11): 819–829

5)   Silent Brain Infarcts and the Risk of Dementia and Cognitive Decline

             Sarah E. Vermeer, M.D et al: N Engl J Med 2003; 348:1215-122

6)   Selecting patients with atrial fibrillation for anticoagulation: stroke risk stratification in patients       taking aspirin        Gage BF, van Walraven C, Pearce L, et al. (2004 ) Circulation 110 (16): 2287 -92                                                                                                                        

7)   "Validation of clinical classification schemes for predicting stroke: results from the         National Registry of Atrial Fibrillation"     Gage BF et al: JAMA  - 2001 285 (22):  2864–70.

 8)   Refining clinical risk stratification for predicting stroke and

 thromboembolism in atrial fibrillation using a novel risk factor-based 

 approach: the euro heart survey on atrial fibrillation      Lip GY et al: Chest. 2010 Feb;137(2):263-72

9)   A novel user-friendly score (HAS-BLED) to assess one-year risk of major bleeding in    atrial fibrillation patients: The Euro Heart Survey     R. Pisters et al. : Chest 2010 March 18;

10)  Efficacy and safety of dabigatran compared with warfarin at different levels of             international normalised ratio control for stroke prevention in atrial fibrillation: An      analysis of the RE-LY trial   Wallentin L et al. : Lancet 2010 Aug 29

11)  RE-LY Steering Committee and Investigators. Dabigatran versus warfarin in     patients with atrial fibrillation  Connolly SJ et al. N Engl J Med 2009; 361: 1139-51

12) Are Atrial Fibrillation Patients Receiving Warfarin in Accordance with Stroke Risk?   Peter J. Zimetbaum et al.: The American Journal of Medicine, Volume 123, Issue 5, May    2010, Pages 446-453

13) AVERROES: Apixaban in atrial fibrillation study stopped early for benefit
 Arrhythmia/EP > Arrhythmia/EP; Jun 11, 2010

14)  A short-term, randomized, double-blind, parallel-group study to evaluate the

 efficacy and safety of dronedarone versus amiodarone in patients with persistent

 atrial fibrillation: The DIONYSOS Study  Le Heuzey J-Y et al: J Cardiovasc Electrophysiol 2010 Jun 1; 21:597

15)  Effect of Dronedarone on Cardiovascular Events in Atrial Fibrillation             

Hohnloser S et al. N Engl J Med 2009;360:668-678