il trattamento del
diabete nel paziente cardiopatico tra vecchi e nuovi farmaci
Gabriele Perriello
Sezione di Medicina Interna e Scienze Endocrine e Metaboliche
- Dipartimento di Medicina Interna - Università di Perugia
Premessa
La malattia cardiovascolare è la
principale causa di mortalità e morbilità nei pazienti affetti
da diabete tipo 2. La coronaropatia, l’ictus cerebrale, la
cardiomiopatia e l’insufficienza cardiaca congestizia sono
responsabili di circa l’80% di tutte le morti tra i pazienti
diabetici e del 75% delle ospedalizzazioni (1). Numerosi studi
longitudinali hanno dimostrato la presenza di una relazione
molto stretta tra livelli glicemici e malattia cardiovascolare
(2-4). Studi d’intervento farmacologico nel diabete tipo 2,
hanno dimostrato che la terapia intensiva, cioè un
trattamento con obiettivi glicemici quasi normali, riduce in
modo significativo l’incidenza delle complicanze microvascolari
di circa il 25% e modifica favorevolmente il decorso ed
evoluzione di quelle cardiovascolari (5-6). Soprattutto nel
paziente diabetico cardiopatico il trattamento intensivo
dell’iperglicemia determina una riduzione degli eventi e della
mortalità cardiovascolare a breve e lungo termine.
L’aumentata disponibilità di
farmaci orali con diversi meccanismi d’azione ha aperto un
dibattito tra i diabetologi sull’impiego preferenziale di
farmaci convenzionali, quali sulfoniluree, glinidi, metformina o
glitazoni e delle nuove classi di farmaci che agiscono sull’asse
delle incretine, come incretino-mimetici, analoghi del GLP-1 ed
inibitori del DPP-4.
Farmaci convenzionali
Sulfoniluree.
L’azione ipoglicemizzante delle sulfoniluree è secondaria alla
stimolazione della secrezione di insulina, mediata dal legame
recettoriale con il canale del potassio ATP-dipendente della
membrana plasmatica delle cellule beta pancreatiche. Questo
stesso canale è presente anche sulla superficie dei
cardiomiociti ed è coinvolto del processo di protezione e
resistenza all’ischemia, noto come precondizionamento ischemico
(7). L’azione ipoglicemizzante delle sulfoniluree, basata sulla
chiusura non selettiva di questi canali, renderebbe il cuore più
vulnerabile all’ischemia, allargherebbe l’area di stunning
miocardico e favorirebbe lo sviluppo di aritmie. Studi clinici
hanno dimostrato che
la mortalità
nell’immediato periodo post-operatorio nei diabetici sottoposti
ad angioplastica coronarica risulta superiore nei soggetti
trattati con sulfoniluree rispetto a quelli trattati con
insulina (8), mentre la somministrazione di sulfoniluree per via
endovenosa nei pazienti non diabetici sottoposti ad
angioplastica coronarica, determina un influsso potenzialmente
dannoso di questi farmaci sul metabolismo coronarico (9).
Tuttavia, nello studio UKPDS (10) non si sono riscontrate
differenze significative di morbilità e mortalità
cardiovascolare tra i vari gruppi trattati con sulfonilurre,
insulina o altri ipoglicemizzanti orali.
Per le sulfoniluree di seconda
generazione, quali glimepiride, le evidenze cliniche
dimostrerebbero un’azione benefica sul profilo lipidico, sui
processi della coagulazione e sulla riduzione del rischio
aritmico nelle fasi precoci postinfartuali, attribuibile
verosimilmente a una interazione recettoriale più selettiva a
livello delle cellule pancreatiche.
Glinidi.
Le glinidi (repaglinide e nateglinide) stimolano la secrezione
insulinica con meccanismo analogo alle sulfoniluree, cioè
favorendo l'ingresso di calcio nella cellula beta pancreatica.
Pur essendo il meccanismo d'azione simile a quello delle
sulfoniluree, questa classe di farmaci si lega ad un recettore
di membrana diverso, richiede la presenza di glucosio per
esplicare la sua azione e non stimola direttamente l'esocitosi
dei granuli d'insulina (11).
L'efficacia della repaglinide è
stata dimostrata in studi clinici randomizzati che hanno
coinvolto circa 2000 pazienti con diabete tipo 2, in cui la
somministrazione di 1 mg di repaglinide prima d’ogni pasto
principale ha diminuito l'emoglobina glicata di 1.7-1.8%
rispetto al valore basale (12). In studi controllati di
confronto con sulfoniluree, la repaglinide é risultata
egualmente efficace in pazienti con diabete di tipo 2 rispetto
alla glibenclamide e gliclazide. L'effetto ipoglicemizzante
della repaglinide è completamente additivo a quello della
metformina, con ulteriore riduzione dell'emoglobina glicata di
1.4% (13). In pazienti con diabete di tipo 2 il trattamento con
repaglinide determina un incremento ponderale di circa 3% in
quelli trattati precedentemente con dieta e nessun aumento in
quelli già trattati con sulfoniluree.
La tollerabilità della
repaglinide è stata valutata in circa 1200 pazienti nell’ambito
degli studi clinici e farmacologici finora effettuati. Rispetto
alle sulfoniluree dopo 1 anno di trattamento la repaglinide ha
determinato un numero minore ma non significativo di episodi
ipoglicemici.
Metformina.
La metformina è il farmaco di prima linea e di maggiore impiego
per il controllo metabolico del paziente diabetico
coronaropatico, soprattutto se obeso, in quanto non determina
l’aumento del peso corporeo che invece è tipico di altri
ipoglicemizzanti orali. Essa riduce la produzione epatica di
glucosio e aumenta la sensibilità dei tessuti periferici
all’azione dell’insulina. Lo studio UKPDS ne ha dimostrato
l’efficacia e la sicurezza nel paziente diabetico coronaropatico
(14).
L’azione anti-iperglicemizzante
della metformina è sostenuta da una diminuzione della produzione
epatica di glucosio con diminuzione soprattutto della glicemia a
digiuno, che è paragonabile a quella ottenuta con altri farmaci
orali. In aggiunta alla diminuzione della glicemia la metformina
promuove la riduzione ponderale, ha effetti benefici sul profilo
lipidemico e può avere potenziali vantaggi sulla pressione
arteriosa ed attività fibrinolitica. Per quest’azione più ampia
e non limitata alla semplice riduzione della glicemia ed agli
effetti sui fattori infiammatori, la metformina ha potenziali
vantaggi rispetto ad altre classi di farmaci nella prevenzione
del rischio cardiovascolare. Infatti, lo studio UKPDS ha
riportato un beneficio rispetto alla terapia convenzionale o
sulfonilureica su end-point cardiovascolari, quali infarto del
miocardio e ictus, in pazienti diabetici obesi (15).
Glitazoni.
Di questa classe di
farmaci sono attualmente disponibili
il pioglitazone e il
rosiglitazone. Essi esplicano la loro azione
insulino-sensibilizzante legandosi a recettori nucleari,
denominati Peroxisome Proliferator-Activated Receptors (PPARg),
che regolano l'espressione genica di specifiche proteine
coinvolte negli eventi insulinici post-recettoriali (16). A
livello del tessuto adiposo, i glitazoni determinano un aumento
del numero degli adipociti ed una diminuzione della lipolisi.
Di conseguenza, i livelli circolanti di acidi grassi liberi si
riducono e, attraverso una diminuzione della loro utilizzazione
ossidativi, si riduce la produzione epatica di glucosio ed
aumenta l'utilizzazione periferica (17).
L'efficacia dei glitazoni è
stata valutata in studi effettuati in pazienti con diabete di
tipo 2, trattati precedentemente con dieta e/o ipoglicemizzanti
orali. Il rosiglitazone e il pioglitazone hanno mostrato
un'efficacia in monoterapia paragonabile, con una diminuzione
dell'emoglobina glicata di circa 1,5%. L'associazione con
sulfoniluree e/o metformina consente di migliorare il controllo
glicemico con una diminuzione dell'emoglobina glicata di circa
l’1% (18).
I glitazoni, in particolare il
pioglitazone, riducono i livelli circolanti di trigliceridi di
circa il 15%. La riduzione della trigliceridemia deriva da una
diminuzione della disponibilità di acidi grassi non esterificati
per la sintesi epatica di trigliceridi. Tuttavia, il colesterolo
LDL aumenta del 10-15%, ma il contemporaneo e progressivo
aumento del colesterolo HDL tende a smorzare l'iniziale aumento
del rapporto colesterolo totale/HDL e successivamente a ridurlo
a valori più bassi di quello basale.
La riduzione dell'emoglobina del
3-4% secondaria ad un aumento della volemia e la comparsa di
edemi nel 5% dei casi sono stati osservati nei pazienti con
diabete di tipo 2 trattati con glitazoni. Per il rischio
aumentato di scompenso cardiaco congestizio, i glitazoni
dovrebbero essere utilizzati con opportune precauzioni nei
pazienti cardiopatici, ed assolutamente controindicati in quelli
con insufficienza cardiaca.
Nuovi farmaci
Lo studio dell’asse delle
incretine ha permesso la sintesi ed utilizzazione terapeutica di
diverse classi di nuovi farmaci. Le incretine sono ormoni
gastro-intestinali, sintetizzati e secreti da cellule
intestinali specializzate in risposta all’assunzione di cibo,
che hanno un effetto di potenziamento sulla secrezione
insulinica. Le principali incretine, GLP-1 e GIP, una volta
secrete in circolo, sono rapidamente e quasi completamente
inattivate dall’enzima DDP-4 (dipeptidyl peptidase 4). Studi
effettuati in soggetti diabetici o intolleranti hanno dimostrato
che le concentrazioni postprandiali di GLP-1, ma non di GIP,
sono ridotti in maniera significativa rispetto ai soggetti
controllo normotolleranti. Queste osservazioni hanno permesso lo
sviluppo di due classi di farmaci: 1) analoghi del GLP-1
resistenti all’azione dell’enzima DDP-4, ma con gli stessi
effetti biologici del GLP-1; 2) inibitori dell’enzima DPP-4 per
aumentare gli effetti del GLP-1 nativo (19).
Dati sperimentali e clinici
suggeriscono che queste nuove classi di farmaci, grazie alle
loro azioni favorevoli sul sistema cardiovascolare, possano
essere impiegati nei diabetici cardiopatici e contribuire a
un’adeguata riperfusione nel paziente diabetico con sindrome
coronarica acuta.
Analoghi del GLP-1 o
incretino-mimetici.
L’exenatide è un
agente incretino-mimetico che si può associare ad altri farmaci
(metformina e/o sulfonilurea) per la cura dei pazienti con
diabete tipo 2. Esso deve essere somministrato mediante
iniezione sottocutanea utilizzando la penna pre-riempita di
soluzione iniettabile. Gli studi clinici con exenatide hanno
coinvolto quasi 2400 pazienti, che hanno partecipato a un totale
di 5 studi. In 3 di questi studi l’efficacia di exenatide è
stata confrontata al placebo: il farmaco è stato aggiunto alle
terapie di pazienti che già utilizzavano gli antidiabetici
metformina (336 pazienti), sulfonilurea (377 pazienti) o una
combinazione di entrambi (733 pazienti). Dopo 6 mesi di
trattamento, l’exenatide (10 microgrammi 2 volte al dì) ha
ridotto l’HbA1c di circa l’1%. Allo stesso tempo il peso
corporeo è diminuito di circa 2,5 kg. Questi effetti si sono
mantenuti fino a 2 anni (5). Negli altri 2 studi l’exenatide è
stato confrontata all’insulina come trattamento aggiuntivo nei
pazienti in terapia con metformina e sulfonilurea. Ipoglicemie
gravi sono rare con exenatide in monoterapia; tuttavia, si sono
osservati aumenti nella frequenza d’ipoglicemia in combinazione
con sulfoniluree (20). Negli studi clinici, gli effetti
indesiderati più comuni (osservati cioè in più di 1 persona su
10) sono stati ipoglicemia - quando la terapia è stata
associata a una sulfonilurea -, nausea, vomito e diarrea.
Inibitori del DPP-4.
Gli inibitori
dell’enzima DPP-4 costituiscono una nuova classe di farmaci per
la terapia orale del diabete tipo 2 e agiscono inibendo la
degradazione degli ormoni gastrointestinali o “incretine”.
Rispetto agli incretino-mimetici iniettabili, come l’exenatide,
che agiscono come agonisti dei recettori del GLP-1, gli
inibitori orali del DPP-4 inibiscono in modo selettivo l’enzima
che é responsabile della rapida degradazione di GLP-1 e GIP, con
conseguente aumento dei livelli di GLP-1 endogeno e
biologicamente attivo (21). Pertanto, gli inibitori del DPP-4
sono associati a una frequenza minore di effetti collaterali
gastro-intestinali.
Dei due inibitori (sitagliptin e
vildagliptin) attualmente disponibili per l’impiego nella
terapia del diabete tipo 2, il sitagliptin è utilizzabile in
associazione con metformina, glitazone, sulfonilurea o con la
combinazione metformina/sulfonilurea.
L’efficacia del sitaglitpin é
stata dimostrata in vari studi, in cui è stato osservato che il
trattamento con 100 mg al dì riduce l’emoglobina glicata di
circa 0,5-0,6% partendo da un valore basale di 8%, 0.8% con
valori iniziali da 8 a 9%, 1,5% con un basale >9%. In
quasi 3500 pazienti affetti da diabete tipo 2 con livelli
glicemici non adeguatamente controllati sitagliptin è stato
confrontata al placebo (monoterapia in 1262 pazienti), sia in
associazione a metformina (702 pazienti) o al pioglitazone (353
pazienti). In tutti gli studi il sitagliptin si è dimostrato più
efficace del placebo sia in monoterapia, sia in associazione ad
altri farmaci orali (22). A fronte di un’efficacia paragonabile
ai farmaci orali già impiegati nella terapia del diabete tipo 2
la tollerabilità di sitagliptin è migliore, Ad esempio,
l’ipoglicemia si è verificata in 1,2% dei soggetti trattati con
sitagliptin e in 0,9% trattati con placebo (23). Il profilo di
tollerabilità di sitagliptin, impiegato da solo, è risultato
simile a quello del placebo, senza che si osservassero maggiori
effetti collaterali e gastro-intestinali paragonabili a quelli
riscontrati nei soggetti trattati con placebo. Gli eventi
indesiderati più comuni (osservati in 1-10 pazienti su 100) sono
stati l’ipoglicemia (in associazione con sulfoniluree), cefalea,
infezione del tratto respiratorio superiore, nasofaringite,
osteoartrite e dolore alle estremità. In caso di assunzione
concomitante di metformina, un effetto indesiderato è stata la
nausea. In combinazione con un agonista PPARγ, gli effetti
collaterali più frequenti sono stati ipoglicemia, flatulenza ed
edema periferico, legati al farmaco in associazione.
Considerazioni conclusive
L’obiettivo ambizioso della
quasi normalizzazione della glicemia può essere raggiunto nel
diabete tipo 2 impiegando in modo sapiente, da soli o in
associazione, gli ipoglicemizzanti orali attualmente
disponibili. La scelta dell’ipoglicemizzante orale dovrebbe
essere individualizzata nel paziente con diabete tipo 2 sulla
base delle caratteristiche fenotipiche, della presenza di
controindicazioni e della valutazione dei possibili effetti
collaterali. É responsabilità del diabetologo discutere con il
paziente diabetico ed indicargli la terapia più adatta ad
ottenere i migliori risultati in termini di efficacia e
tollerabilità. Se necessario, si può partire fin dall’esordio
del diabete tipo 2 con una terapia di associazione in modo da
ottimizzare il controllo glicemico e minimizzare gli effetti
collaterali.
Il profilo di tollerabilità
delle nuove classi di farmaci che agiscono sull’asse delle
incretine, soprattutto degli inibitori del DPP-4, è favorevole.
Pertanto, il loro impiego può essere esteso alla gran parte
della popolazione con diabete tipo 2, ed in particolare ai
cardiopatici in cui l’uso della sulfoniluree non è
consigliabile. Inoltre, per la loro azione di potenziamento
della secrezione insulinica fisiologica è auspicabile che gli
effetti sul controllo dell’iperglicemia sia più duraturo e possa
eventualmente prevenire la perdita della capacità secretoria
nella maggior parte dei pazienti con diabete tipo 2.
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