La terapia antiaggregante

 nelle sindromi coronariche acute

in UTIC e dopo angioplastica

 

Luigi Oltrona Visconti

Divisione di Cardiologia Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo Pavia

 

 

Antipiastrinici per via orale

Il ruolo della terapia antiaggregante orale nella cura del paziente con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST è attualmente definito in modo preciso e si fonda sulla cosiddetta duplice antiaggregazione, ovvero sull’ associazione tra l’ aspirina e una tienopiridina che nella corrente pratica clinica è rappresentata prevalentemente dal clopidogrel,. Per quanto riguarda l’ aspirina, la cui evidenza del beneficio clinico nel ridurre del 46% gli eventi vascolari in pazienti con angina instabile proviene dalla metanalisi dell’ Antithrombotic Antiplatelet Trialist Collaboration,1 sono stati recentemente comunicati, all’ ultimo Congresso della Società Europea di Cardiologia i risultati dello studio Current-OASIS 7 che ha evidenziato in circa 25.000 pazienti come, non essendo emerse differenze in termini di outcome clinico tra il dosaggio elevato e la bassa dose, rimanga valida l’ indicazione a utilizzare in tutti i pazienti 100 mg al giorno.

L’importanza della duplice antiaggregazione è stata sancita nell’ultimo aggiornamento delle linee guida della Società Europea di Cardiologia per la gestione del paziente con sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST.2 In esse viene ribadito che il clopidogrel, che agisce come antagonista del recettore piastrinico per l’ADP e, rispetto alla ticlopidina, presenta un ridotto numero di effetti collaterali e viene utilizzata in un’ unica dose, dopo la somministrazione in fase acuta a tutti i pazienti ancor prima di aver effettuato una valutazione del grado di rischio, è raccomandato per il trattamento a lungo termine per almeno 12 mesi in aggiunta ad aspirina.

Gli studi che hanno fatto assumere a clopidogrel il ruolo chiave nella gestione delle sindromi coronariche acute sono stati il CURE e il PCI-CURE. 3,4

Lo studio CURE (Clopidogrel in Unstable Angina to Prevent Ischemic Events), condotto in oltre 12.000 pazienti con NSTEMI randomizzati a ricevere, in aggiunta alla terapia tradizionale comprendente sempre ASA, clopidogrel (dose di carico 300 mg all’entrata nello studio e successivamente 75 mg al giorno per un follow-up massimo di 1 anno) o placebo, ha mostrato che l’aggiunta di clopidogrel alla terapia standard era associata a una riduzione di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardio ed ictus del 20%, altamente significativa (p=0.00009) rispetto alla sola terapia tradizionale, con benefici indipendenti dal grado di rischio del paziente o dalle altre terapie concomitanti.

Lo studio PCI-CURE ha invece considerato i pazienti arruolati nel CURE che hanno avuto necessità di rivascolarizzazione coronarica. Questo gruppo di pazienti è stato sottoposto a pretrattamento con clopidogrel o placebo per una mediana di 6 giorni prima dell’intervento di angioplastica (PCI) e, dopo 2-4 settimane di trattamento con una tienopiridina in aggiunta ad ASA in aperto, hanno assunto ancora per 3-12 mesi la terapia sperimentale assegnata in precedenza. Al termine del follow-up si è avuta una riduzione significativa del 31% della morte cardiovascolare e dell’infarto miocardico (p=0.002), senza che si siano rilevate differenze significative, rispetto al gruppo placebo, negli episodi di sanguinamento maggiore (p=0.64).

La validità del trattamento a lungo termine con clopidogrel in pazienti sottoposti a PCI è stata confermata anche in un altro studio, il CREDO (Clopidogrel for the Reduction of Events During Observation), studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha coinvolto 2116 pazienti trattati o con dose di carico di 300 mg di clopidogrel o con placebo dalle 3 alle 24 ore prima della PCI. 5 Dopo l’intervento tutti i pazienti hanno ricevuto, in aggiunta ad ASA, clopidogrel alla dose di 75 mg/die fino al ventottesimo giorno, quindi i pazienti che erano nel gruppo clopidogrel hanno continuato ad assumere il farmaco alla dose di 75 mg/die o placebo per 1 anno. Al termine dello studio i pazienti trattati con clopidogrel per 12 mesi hanno beneficiato di una riduzione significativa del 27% (p=0.02) del rischio relativo combinato di morte, infarto miocardico o ictus rispetto al trattamento con clopidogrel di soli 28 giorni.

            Nello studio CURE il rischio globale di sanguinamenti minori è risultato superiore del 38% con la duplice antiaggregazione rispetto alla sola somministrazione di aspirina. Tale rischio è stato evidenziato soprattutto in pazienti sottoposti a bypass aortocoronarico entro 5 giorni dalla sospensione della somministrazione di clopidogrel. Tuttavia nell’ intera popolazione, che comprendeva anche pazienti sottoposti a rivascolarizzazione, il beneficio complessivo del trattamento è stato dimostrato essere superiore rispetto agli effetti collaterali (21 eventi coronarici evitati al costo di 7 eventi avversi ogni 1000 pazienti). Vi è comunque l’indicazione a sospendere, quando possibile, la somministrazione di clopidogrel almeno 5 giorni prima dell’ intervento di bypass.

E’ stato dimostrato che la somministrazione di una dose di carico di 600 mg ottiene una più rapida inibizione piastrinica rispetto ai 300 mg.  Dati conclusivi sul beneficio clinico del più alto dosaggio potrebbero emergere dai risultati del già citato studio Current-OASIS 7 che ha confrontato l’ efficacia della dose di carico di 600 mg con quella di 300 mg. La somministrazione di 600 mg sembra avere un beneficio in termini di rapporto tra efficacia ed effetti collaterali solo nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione ma non nell’ intera popolazione con sindrome coronarica acuta senza ST sopraslivellato.

Vi sono evidenze dell’ efficacia di anticipare la somministrazione della dose di carico di clopidogrel quanto più possibile rispetto all’ inizio della procedura di angioplastica. Non è consigliato pertanto l’ inizio della terapia con clopidogrel una volta conosciuta l’ anatomia coronarica, dopo aver effettuato la coronarografia, nell’ immediato periodo che precede l’ angioplastica. Infine vi è indicazione ad utilizzare clopidogrel nei pazienti con controindicazione ad aspirina.

Un avanzamento nell’ utilizzo clinico delle tienopiridine è probabilmente imminente allorché saranno disponibili sul mercato nuovi farmaci quali il prasugrel e il ticagrelor. Il primo si è rivelato superiore al clopidogrel in una popolazione ospedalizzata per un episodio compreso in tutto l’ ampio spettro delle sindromi coronariche acute, con presenza o assenza del sopraslivellamento del tratto ST all’ elettrocardiogramma. Nello studio TRITON-TIMI 38, condotto su circa 10.000 pazienti, il prasugrel ha ridotto gli eventi coronarici rispetto a clopidogrel provocando tuttavia, soprattutto nei pazienti sopra i 75 anni e in quelli di peso inferiore a 60 kg, un eccesso di sanguinamenti. 6 Il ticagrelor, nella popolazione di più di 18.600 pazienti dello studio PLATO, ancora con sindromi coronariche acute con e senza siopraslivellamento del tratto ST, riduceva gli eventi coronarici a un anno senza provocare un eccesso di sanguinamenti. 7 Tuttavia una particolare attenzione sembra profilarsi all’ orizzonte nell’ uso di questo farmaco nei pazienti con insufficienza renale, con storia di broncopneumopatia e in quelli con un pregresso accidente cerebrovascolare.

Una rilettura attenta dei risultati degli ultimi studi condotti con le nuove tienopiridine e soprattutto l’ ampliamento delle conoscenze, attraverso nuovi studi, di alcuni dati contraddittori emersi da essi potrà indirizzarci a rinnovare la pratica corrente della terapia antiaggregante orale o meglio a indirizzare la miglior terapia in base alle caratteristiche del singolo paziente che avremo in cura.

 

Antagonisti dei recettori piastrinici glicoproteici IIb/IIIa  

I farmaci di questa classe, inibendo il legame del recettore piastrinico glicoproteico IIb/IIIa (GpIIb/IIIa) con il fibrinogeno e con il fattore Von Willebrand, bloccano il passaggio finale della catena dell’attivazione-aggregazione piastrinica. Questi antiaggreganti non sono disponibili per la somministrazione orale, ma solo per quella endovenosa. I farmaci disponibili nella pratica clinica sono abciximab, eptifibatide e tirofiban. Il primo è un anticorpo monoclonale specifico per il recettore glicoproteico IIb/IIa, al quale si fissa inibendo legame con il fibrinogeno. Gli altri due sono prodotti di sintesi che contengono una specifica sequenza RGD (arginina-glicina-asparagina), capace di legarsi al sito RGD del recettore GPIIb/IIIa al posto del fibrinogeno. L’inibizione dell’aggregazione piastrinica è proporzionale al numero di recettori bloccati. La loro principale differenza farmacologica sta nella più lunga durata d’azione di abciximab, rintracciabile sulla superficie piastrinica fino a 3 settimane dalla sua somministrazione (il che fa supporre il suo trasferimento dalle piastrine morenti a quelle nuove).

Le evidenze più solide che indirizzano verso l’ utilizzo di questa classe di farmaci provengono dagli studi condotti su pazienti con sindromi coronariche acute e non acute sottoposti ad angioplastica. In questa condizione il farmaco con più ampie dimostrazioni è l’ abciximab.8-13  In alternativa vi sono evidenze favorevoli all’ uso di eptifibatide1.4-16  Questo approccio è comunque riservato al laboratorio di emodinamica, in quanto in questa sede, al momento della rivascolarizzazione meccanica, viene posta indicazione all’ uso del farmaco. La somministrazione di abciximab va iniziata con un bolo di 0.25 mg/kg, seguito da infusione di 0.125 microg/kg/min che va proseguita per 12 ore. La somministrazione di eptifibatide comprende un bolo di 180 microg/kg ripetuto a distanza di 10 minuti seguito da infusione di 2.0 microg/kg/min che va proseguita per 18 ore.

Altri della letteratura estendono l' utilizzo di questa classe di farmaci nei pazienti con angina instabile/infarto non-Q, definiti a rischio elevato specialmente se è programmata entro 48 ore la  coronarografia e la successiva eventuale rivascolarizzazione.17 In quest' ultima situazione la scelta cade su tirofiban: iniziare con 0.4 microg/kg/min per 30 minuti seguiti da 0.1 microg/kg/min. La durata massima della terapia con aggrastat può arrivare a 108 ore; in caso di rivascolarizzazione con angioplastica il tirofiban va proseguito per 12-24 ore. In alternativa a tirofiban può essere utilizzato eptifibatide14: bolo di 180 microg/kg seguito da infusione di 2.0 microg/kg/min; durata del trattamento fino a 72 ore.

Dopo ampio dibattito nella comunità scientifica cardiologia attualmente prevale l’ opinione di non estendere l’uso de gli inibitori GPIIb/IIIa nei pazienti che non siano a rischio elevato e che non abbiano in programma la rivascolarizzazione con angioplastica. Infatti due metanalisi hanno considerato globalmente tutti e tre i farmaci. Da questi dati emerge il loro beneficio nei pazienti trattati con angioplastica ma non in quelli trattati con sola terapia medica e uno spiccato beneficio nei pazienti ad alto rischio e nei diabetici.18,19 Quando, in un’ altra metanalisi su più di 20.000 pazienti, è stata valutata l’ efficacia degli inibitori delle Gp/IIbIIIa solamente nei pazienti con sindromi coronariche acute che sono stati rivascolarizzati, questa è emersa in termini di riduzione del 27% di mortalità a 30 giorni. 20

La strategia terapeutica cosiddetta upstream, che consiste nel pretrattamento con inibitore delle GpIIb/IIIa 24-48 ore prima dell’ angioplastica e il suo mantenimento durante la procedura, è stata valutata in due metanalisi. Eptifibatide e tirofiban, utilizzati in questa condizione, sono risultati efficaci nel ridurre il rischio di morte e (re)infarto a 30 giorni anche se è stato evidenziato un eccesso di sanguinamenti. 19,20 l’ EARLY-ACS, primo studio randomizzato condotto su più di 9400 pazienti con sindrome coronarica acuta senza ST sopraslivellato di confronto tra strategia “upstream” e strategia di trattamento che inizia in sala di emodinamica, ha evidenziato che l’ inizio dell’ eptifibatide 12 ore prima della rivascolarizzazione con angioplastica non migliora l’ outcome a a 30 giorni rispetto all’ inizio del farmaco dopo l’ angiografia coronarica. 21

L’ utilizzo degli inbitori delle GpIIb/IIIa nei pazienti sottoposti a bypass aortocoronarico è risultato sicuro, previa sospensione del farmaco. L’ associazione raccomandata con un farmaco antitrombotico in caso di utilizzo degli inibitori GpIIb/IIIa è con l’ eparina non frazionata.

 

 

Bibliografia

 

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