La terapia ipoCOLIPIDEMIZZANTE

 tra vecchi e nuovi farmaci

 

Alberto Corsini

Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano

 

Negli ultimi anni si è assistito ad un continuo progredire delle conoscenze sull’impiego clinico della terapia ipolipidemizzante. Studi clinici controllati con obiettivi quali mortalità e morbilità per cause cardiovascolari e mortalità per tutte le cause hanno documentato il beneficio della terapia ipolipidemizzante. Dal punto di vista applicativo risulta evidente l’importanza di un corretto trattamento farmacologico delle dislipidemie.

 

Statine

Gli inibitori della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) riduttasi, l’enzima chiave della via biosintetica del colesterolo, o statine, sono la classe di farmaci di elezione per il trattamento delle ipercolesterolemia e si sono dimostrate in grado di ridurre il rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare in pazienti con un rischio cardiovascolare, perfino in quelli con livelli normali di lipoproteine a bassa densità (LDL). Le statine esercitano il loro effetto principale, la riduzione dei livelli di colesterolo LDL (LDL-C), inibendo competitivamente la HMG-CoA riduttasi e, di conseguenza, la sintesi endogena di colesterolo a livello epatico. La ridotta disponibilità di colesterolo cellulare determina un aumento dell’espressione del gene del recettore per le LDL. L’aumento del numero dei recettori per le LDL sulla superficie degli epatociti porta ad una aumentata rimozione delle LDL circolanti, riducendo così i livelli plasmatici del LDL-C.

Le evidenze cliniche disponibili documentano chiaramente il ruolo prioritario dell’abbassamento del colesterolo LDL come razionale per l’impiego clinico delle statine sia in prevenzione primaria sia secondaria. Come mostrato nelle due figure,

il beneficio clinico e’ in relazione diretta con l’abbassamento delle LDL, compreso lo studio Jupiter ad evidenziare che gli effetti pleiotropici delle statine, inclusi gli effetti antiinfiammatori (e.g. abbassamento delle PCR) sono da attribuirsi essenzialmente alla riduzione delle LDL che di per se sono infiammatorie. Il ruolo degli effetti pleiotropici indipendente dall’abbassamento delle LDL richiede ulteriori studi.

Inoltre questi studi clinici hanno documentato come il trattamento con statine possa determinare riduzioni significative di questo colesterolo LDL fino ad un 50% dei suoi valori, a cui si associa una riduzione degli eventi cardiovascolari del 40-45% . Lo studio JUPITER recentemente pubblicato ha evidenziato come il raggiungimento di livelli di colesterolo LDL nell’intorno dei 50 mg/dl sia associato nei pazienti con rischio cardiovascolare moderato e caratterizzati da livelli normali di colesterolo LDL ma da elevati livelli di proteina C reattiva, sortisca ad una riduzione significativa degli eventi CVD.

 

 

E’ importante ricordare che tutti gli studi di intervento condotti a tutt’oggi con statine, compreso lo studio JUPITER, hanno alla base della riduzione degli eventi clinici esclusivamente la riduzione del colesterolo LDL. Ne consegue che abbassare il colesterolo LDL in modo importante e significativo si associ effettivamente ad una riduzione del rischio cardiovascolare.

 

Nonostante queste premesse, a tutt’oggi, la monoterapia con statine non sempre permette il raggiungimento dei livelli di colesterolo considerati ottimali dalle varie linee guida internazionali. Le motivazioni di questo fallimento terapeutico sono svariate, tra cui scarsa adesione al trattamento, terapie concomitanti, fattori genetici, ed effetti collaterali, È noto come elevati dosaggi di statine siano associati ad aumentato rischio di miopatie, degli enzimi epatici ed anche della mortalità non cardiovascolare. Queste ultime considerazioni suggeriscono come una terapia combinata sia potenzialmente più favorevole rispetto ad una terapia con  dosaggi elevati di statine nel ridurre il colesterolo LDL. Per esempio, il paziente diabetico e’ caratterizzato da una dislipidemia associata ad un aumentato assorbimento di colesterolo a livello intestinale che giustifica appieno l’utilizzo della doppia combinazione come terapia d’elezione per il trattamento della dislipidemia.

 

 

Razionale dell’impiego della combinazione statine-ezetimibe per il raggiungimento degli obiettivi di C-LDL

 

Inibitori dell’assorbimento del colesterolo: Ezetimibe

L’assorbimento del colesterolo proveniente dalla dieta prevede un meccanismo specifico mediato da una proteina trasportatrice localizzata a livello dell’orletto a spazzola delle cellule intestinali, la proteina Niemann-Pick C1 Like 1 Protein (NPC1L1) fondamentale nel controllare l’omeostasi del colesterolo. In particolare, la sua espressione è modulata dal contenuto intracellulare di colesterolo nell’enterocita. È bene ricordare che il colesterolo presente nell’intestino deriva solo parzialmente dalla dieta e per la maggior parte ha origine endogena.

Il meccanismo alla base dell’inibizione dell’assorbimento del colesterolo da parte dell’ezetimibe è legato alla inibizione specifica della proteina trasportatrice NPC1L1 impedendo così il trasferimento dal lume intestinale all’interno della cellula del colesterolo e ne favorisce l’escrezione per opera di altri trasportatori. L’inibizione a livello dell’orletto a spazzola evita tutte quelle interazioni che sono state documentate con l’impiego dei sequestranti degli acidi  biliari, quali le resine, che impediscono l’assorbimento non solo di acidi biliari, ma anche una serie di molecole lipofile di notevole importanza biologica quali vitamine liposolubili e ormoni steroidei.

 

Associazione Statine-Ezetimibe

Per ottenere un effetto ipocolesterolemizzante più completo è spesso necessaria una terapia mirata a controllare non solo la sintesi endogena ma anche l’assorbimento del colesterolo intestinale. Il trattamento con statine, associata all’inibizione della sintesi di colesterolo, determina una  risposta omeostatica dell’organismo alla necessità di colesterolo che si traduce in un aumento della quota di colesterolo assorbito. Emerge quindi la necessità di un intervento a due livelli proprio per ottenere un controllo ottimale dei livelli plasmatici di colesterolo.

 

 

Questo duplice effetto di inibizione dell’assorbimento e aumentata sintesi endogena di colesterolo costituisce il razionale per la terapia di associazione con inibitori della sintesi del colesterolo quale le statine. Numerosi studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di ezetimibe 10 mg/die nell’aumentare l’effetto ipolipidemizzante del 15-26% di qualsiasi statina.

 

 

 

 

A conferma dell’efficacia ipolipidemizzante della combinazione sono i numerosi studi che dimostrano come lì associazione consenta di portare un numero maggiore di pazienti ai livelli di LDL raccomandati dalle Linee Guida nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare.

Lo studio angiografico SANDS ha dimostrato la capacitaà dell’associazione simvastatina-ezetimibe di rallentare la progressione delle placche carotidee in pazienti diabetici a supporto della validità clinica del farmaco.

Infine, gli studi clinici condotti in pazienti nefropatici (SHARP) e in pazienti con sindrome coronarica acuta (IMPROVE-IT) permetteranno di saggiare l’efficacia clinica dell’associazione in termini di morbilità e mortalità cardiovascolare.

Riassumendo, la duplice inibizione a livello dell’enterocita operata da ezetimibe e a livello dell’epatocita dalla statina, costituisce l’approccio terapeutico ottimale delle dislipidemie proprio per le diverse caratteristiche farmacodinamiche dei due agenti terapeutici e per la selettività della loro azione.