I FARMACI ANTIARITMICI OGGI: USI E ABUSI

Jorge Salerno-Uriarte
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari. Università degli Studi dell’Insubria. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese.


I farmaci antiaritmici sono sempre stati molto impiegati nel trattamento delle aritmie cardiache data la loro capacità di modificare le caratteristiche elettrofisiologiche delle cellule miocardiche sia agendo direttamente che indirettamente sul substrato anatomico responsabile dell’aritmia senza tuttavia modificarlo in maniera risolutiva e non garantendo quindi un effetto veramente “curativo” dell’aritmia stessa. I farmaci antiaritmici, in rapporto alle caratteristiche delle singole aritmie e alla biodisponibilità e farmacocinetica della singola molecola antiaritmica, potranno essere utilizzati sempre più appropriatamente in rapporto alle conoscenze dell’utilizzatore. Per il corretto impiego della terapia farmacologia sarà necessario non solo conoscere a fondo il meccanismo d’azione dei farmaci impiegati ma sopratutto il loro preciso effetto in quel dato contesto clinico. La presenza o meno di cardiopatia è fondamentalente nel tipo di risposta alla terapia farmacologica e la sua scelta è condizionata da tale fattore in maniera determinante..
Nella figura 1 viene raffigurata in maniera molto semplice, con un rettangolo e una diagonale, quella che è l’incidenza di una tale aritmia (di tipo sopraventricolare o ventricolare) in presenza a meno di una cardiopatia

I farmaci antiaritmici e loro inquadramento classificativi
Due ben note classificazioni dai farmaci antiaritmici hanno cercato, in due tempi successivi, di caratterizzare e raggruppare tali farmaci a seconda del loro meccanismo d’azione. La classificazione dei farmaci antiaritmici proposta da Vaugham Williams 1 e successivamente modificata da Harrison 2 è riportata in tabella: Questa classificazione schematica suddivide i farmaci in base al loro meccanismo d’azione. La Tabella 1 riporta, assieme alla classificazione per classi e alla descrizione del meccanismo d’azione, le modificazioni indotte sull’elettrocardiogramma di superficie e i nomi dei principali farmaci antiaritmici appartenenti alla classe. Questa classificazione schematica suddivide i farmaci in base al loro meccanismo d’azione. Riporta inoltre le modificazioni indotte sull’elettrocardiogramma di superficie e i nomi dei principali farmaci antiaritmici appartenenti alla classe. Come si può notare, la Classe I comprende i farmaci che bloccano i canali rapidi del sodio, le Classi II e IV comprendono rispettivamente i farmaci beta-bloccanti e calcio-antagonisti, mentre la Classe III i farmaci che esercitano un’azione antiaritmica prolungando la durata del potenziale d’azione e pertanto la refrattarietà. La Classe I a sua volta si divide in tre sottoclassi (A, B e C) a seconda della diversa azione sulla fase 0 del potenziale d’azione, sulla conduzione e sulla ripolarizzazione.


Figura 1

Tabella I

Figura 2


Questa classificazione sebbene sia largamente utilizzata in un ampio contesto di caratterizzazione di un farmaco antiaritmico, presenta molte limitazioni. Prima di tutto, il meccanismo d’azione dei farmaci in questa classificazione viene valutato su tessuto miocardico sano, specialmente su fibre di Purkinje, mentre molto spesso le aritmie cardiache si associano ad una cardiopatia organica che modifica in modo importante la struttura e la funzione del tessuto miocardico. Inoltre, proprio perché i canali ionici possono avere una struttura molecolare molto simile tra loro, il meccanismo d’azione di alcuni farmaci è in realtà il risultato della loro interazione su più di un canale ionico. Basti pensare alla chinidina, che blocca sia i canali del sodio sia quelli del potassio, oppure all’amiodarone, la cui azione spazia per tutte e quattro le Classi. Inoltre, questa classificazione non tiene in considerazione alcune variabili, come la presenza di squilibri elettrolitici, i valori di pH, la frequenza cardiaca e le variazioni del tono neurovegetativo, che in clinica possono avere un ruolo determinante per l’effetto che un determinato farmaco ottiene.
Un successivo tentativo di classificazione dei farmaci antiaritmici è rappresentato dal “Sicilian Gambit” 3, il cui nome origina da gambit, termine inglese per indicare una mossa di scacchi con cui si sacrifica un pezzo per ottenere un vantaggio e dal fatto che gli autori si riunirono a Taormina per redigere questa classificazione, pubblicata nel 1991. Essi compilarono, sulla base di una revisione dell’attività dei canali ionici, uno schema (Figura 2) in cui viene riassunto per ogni singolo agente il profilo della sua azione sui canali ionici, sui recettori e sulla pompa Na+/K+. L’uso di vari simboli è utilizzato per indicare la potenza relativa (bassa, moderata ed alta) dell’agente, il suo effetto agonista o antagonista sul recettore ed il blocco dello stato attivo o inattivo del canale ionico. Come corollario di questa classificazione e sulla base di una revisione dei meccanismi aritmogenetici, venivano anche evidenziati i farmaci antiaritmici in grado di agire sui parametri vulnerabili di una determinata aritmia cardiaca. Questa classificazione è un’eccellente revisione dei meccanismi elettrofisiologici di base e dei possibili meccanismi d’azione dei farmaci antiaritmici sull’aritmogenesi. Va sottolineata infatti la capacità di riassumere il profilo antiaritmico anche qualora questo si prospetti complesso come nei casi dell’amiodarone, della chinidina, del verapamil o del sotalolo. Tuttavia, a quasi quindici anni dalla sua introduzione, questa classificazione è scarsamente utilizzata sia dal cardiologo clinico sia dal farmacologo, che spesso fanno riferimento alla precedente classificazione. Inoltre nell’impiego clinico, diversi farmaci antiaritmici possono essere utilizzati efficacemente per trattare la stessa aritmia, anche se hanno meccanismi ionici completamente diversi, in quanto la complessità delle situazioni osservate nelle aritmie cliniche consente di agire su differenti variabili per terminarla. Basti pensare infatti all’utilizzo del verapamil o della flecainide per cessare una tachicardia da rientro ortodromico lungo una via accessoria atrioventricolare: questi due farmaci sono infatti in grado di terminare l’aritmia anche se con meccanismi che agiscono su due punti critici completamente diversi del circuito di rientro come, rispettivamente, il nodo atrioventricolare e la via accessoria.

La terapia farmacologia antiaritmica oggi
La terapia farmacologica delle aritmie cardiache è molto mutata negli ultimi anni in particolare nell’era del dopo-CAST (Cardiac Arrhythmias Suppression Trial). 4,5 Tutte le linee guida concernenti il trattamento delle aritmie ventricolari post infartuali potenzialmente letali sono pesantemente condizionate dalle informazioni emerse a seguito della diffusione dei risultati dello studio CAST. 6,7 Lo sviluppo tecnologico avvenuto nell’ultimo ventennio ha certamente favorito in maniera determinante lo sviluppo del defibrillatore automatico impiantabile 8 il quale, dotato o meno di funzione di pacing antitachicardico, è diventato un presidio sempre più sofisticato negli ultimi tempi rivoluzionando il trattamento delle aritmie maligne. Un altro elemento è stato determinante fin dalla fine degli anni ’80 nell’impedire gli abusi della terapia farmacologia e favorendo l’uso più appropriato dei farmaci antiaritmici; ci riferiamo in particolare all’avvento della trattamento non farmacologico mediante ablazione transcatetere con radiofrequenza. La storia di questa sconvolgente modalità di trattamento ablativo non chirurgico è iniziata in Europa 9 e da allora si è dimostrata sempre più utile e terapia di prima scelta per il controllo di quasi tutte le aritmie divenendo spesso un trattamento curativo soprattutto nel campo delle aritmie non necessariamente maligne.

Effetto proaritmico dei farmaci antiaritmici
Il potenziale effetto aritmogeno di un farmaco somministrato agli effetti di controllare una aritmia era già noto ai tempi di William Withering. Infatti un caso di effetto deleterio legato a sovraccarico digitalico che si manifestava oltre che con altri segni classici di intossicazione del farmaco anche con aritmie era stato descritto nel lontanissimo 1779. Già all’inizio del secolo scorso erano inoltre note le aritmie ventricolari polimorfe che si presentavano nei soggetti in trattamento chinidinico. Infatti alcuni casi di morti improvvisa e di sincope legati al trattamento con chinidina potevano riconoscere un simile meccanismo. E’ stato Dessertenne nel 1966 10 che ha coniato il termine “torsades de pointes” (TP) che oggi si utilizza diffusamente per l’aritmia ventricolare polimorfa, spesso a risoluzione spontanea, tipica delle bradicardie spiccate e del QT lungo. Quest’ultimo, più frequentemente acquisito, compare a seguito di alterazioni disioniche o di svariati trattamenti farmacologici fra cui spesso la chinidina. Tale effetto proaritmico è favorito dalla bradicardia perciò quando la chinidina è utilizzata per il ripristino del ritmo sinusale nel caso della fibrillazione atriale o per la sua profilassi, quando esso è solo parziale, tale effetto si manifesta quasi esclusivamente al ripristino del ritmo sinusale. Fra i farmaci antiaritmici quelli maggiormente coinvolti in molte manifestazioni di proartimia sono quelli della classe I, sia del gruppo A che C. Queste molecole (classe IC) erano quelle coinvolte nella studio CAST che com’è noto riguardava i pazienti con aritmie ventricolari post-infartuali.
L’incidenza sia di allungamento del QT che di aritmie ventricolari del tipo TP è molto bassa per i farmaci della classe III. Si consiglia comunque non solo di monitorare molto attentamente l’intervallo del QT ma anche i livelli di potassio e il perfetto compenso nei soggetti con insufficienza cardiaca, di entrambi i sessi, in particolare se donne. Fra i farmaci di questa classe, l’amiodarone potrebbe rappresentare un valido prototipo di antiaritmico ideale se fosse possibile minimizzare i suoi effetti collaterali. Alcuni fra i più importati sono determinati dalla presenza di un quantitativo ragguardevole di iodio nella molecola del farmaco. Ultimamente si è cercato in tanti modi di ottenere altri validi antiaritmici molto simili senza lo iodio ma al momento questi tentativi non sono stati coronati da successo. Un temuto effetto collaterale dell’amiodarone, per fortuna molto raro, ma non infrequente, in particolare qualche tempo addietro, è rappresentata dalla possibilità di avere fibrillazione ventricolare in caso di somministrazione endovenosa del farmaco in soggetti portatori di sindrome di Wolff-Parkinson-White e fibrillazione atriale 11. In simili condizioni sia il verapamil che la digitale sono controindicati in quanto l’allungamento della refrattarietà del nodo atrioventricolare favorisce la penetrazione degli impulsi anomali attraverso la via accessoria incrementando il “bombardamento” subito a livello ventricolare dagli impulsi elettrici provenienti dall’atrio.Vi sono alcuni riscontri a seguito di trattamento di aritmie sopraventricolari con farmaci della classe IC che a tutti gli effetti possono essere considerati effetti proaritmici. Si possono verificare flutter atriali sincopali nei soggetti nei quali la profilassi della loro fibrillazione atriale parossistica viene eseguita anche con successo nei confronti della aritmia per cui il trattamento è stato intrapreso; le sincopi avvengono in questi casi per flutter atriale a conduzione atrioventricolare 1:1 attraverso il nodo atrioventricolare 12. Questo succede in quanto i farmaci della classe I spesso hanno scarso o nullo effetto elettrofisiologico diretto sulla suddetta struttura nodale e il flutter “rallentato” farmacologicamente viene condotto ai ventricoli a elevata frequenza. Il blocco di branca funzionale che quasi sempre si associa all’elevata frequenza, spesso è causa di erronea interpretazione e il quadro viene descritto come da effetto proaritmico ventricolare.

Conclusioni
In questa sede non è stato possibile per ovvie ragioni considerare tutti gli effetti proaritmici dei farmaci antiaritmici e perciò mi sono limitato a trattare alcune delle manifestazioni più frequenti di proaritmia. I farmaci antiaritmici sono sempre estremamente utili ma vanno utilizzati con estrema saggezza in quanto potenzialmente molto pericolosi. La terapia antiaritmica farmacologica è sempre più una terapia di supporto nel contesto di un trattamento ibrido che comprende anche diverse modalità di trattamento non solo farmacologico ma anche non-farmacologico e alcune volte la terapia antiaritmica farmacologia va intesa come approccio terapeutico “ponte” verso altre modalità di trattamento antiaritmico sia in forma isolata che in associazione.
Per finire volevo ricordare a proposito dell’uso e abuso dei farmaci antiaritmici quanto a questo proposito diceva di Kaminetzky 13 : “There are not really ‘safe’ biologically active drugs. There are only ‘safe’ physicians. Questa è una affermazione che risale al 1963 e le cose nel frattempo stanno per fortuna cambiando.

BIBLIOGRAFIA

1. Vaughan Williams EM: A classification of antiarrhythmic actions reassessed after a decade of new drugs. J Clin Pharmacol 1984; 24: 129-35.
2. Harrison DC: Is there a rational basis for the modified classification of antiarrhythmic drugs? In Morganroth J, Moore EN (eds). Cardiac Arrhythmias . New therapeutic drugs and devices. Boston, Nijhoff 1985: 36-47.
3. Task Force of the Working Group on Arrhythmias of the European Society of Cardiology. The Sicilian Gambit: A new approach to the classification of antiarrhythmic drugs based on their actions on arrhythmogenic mechanism. Circulation 1991; 84: 1831-45.
4. The Cardiac Arrhythmia Suppression Trial (CAST) Investigators: Preliminary report: effect of encainide and flecainide on mortality in a randomised trial of arrhythmia suppression after myocardial infarction. N Engl J Med 1989; 321: 406-12.
5. Task Force of the Working Group on Arrhythmias of the European Society of Cardiology: CAST and beyond. Implications of the Cardiac Arrhythmia Suppression Trial. Circulation 1990; 81: 1123-7.
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7. Greene HL, Roden DM, Katz RJ et al: The Cardiac Arrhythmia Suppression Trial: first CAST…then CAST-II: JACC 1992; 19: 894-8.
8. Mirowski M, Reid PR, Mower MM et al: Termination of malignant ventricular arrhythmias with an implanted automatic defibrillator in human beings. N Engl J Med 1980; 303: 322-4.
9. Borggrefe M, Budde T, Podezeck A et al: High frequency alternating current ablation of an accessory pathway in humans. JACC 1987; 10: 576-82.
10. Dessertenne F : Le tachycardie ventriculaire a deux foyes oposes variables. Arch Mal Cœur 1966; 59: 263-9 .
11. Sheinman BD, Evans T: Acceleration of ventricular rate by amiodarone in atrial fibrillation associated with Wolff-Parkinson-White syndrome . BMJ 1982; 285: 999-1000.
12. Natham AW, Hellestrand KJ, Bexton RS, et al: Proarrhythmic effects of new antiarrhythmic agent flecainide acetate. Am Heart J 1984; 107: 222-9.
13. Kaminetzky HA: A drug on the market. Obstet Gynecol 1963; 21: 512-3.