L’ ALCOOLIZZAZIONE DEL SETTO
NELLA MIOCARDIOPATIA IPERTROFICA

Maurizio Menichelli
Unità Operativa di Cardiologia Interventistica
Azienda Ospedaliera San Camillo – Forlanini, Roma


La Cardiomiopatia Ipertrofica (HCM)
La HCM è fondamentalmente una malattia genetica del muscolo cardiaco (miocardio). La caratteristica più costante della cardiomiopatia ipertrofica è un marcato aumento dello spessore della parete del cuore. Le conseguenze della Cardiomiopatia Ipertrofica nei pazienti sono legate, in parte o esclusivamente, a questo aumento di spessore del muscolo cardiaco, che a sua volta è la conseguenza di un difetto genetico di base. L’ipertrofia può coinvolgere l’intero ventricolo sinistro, sebbene non sempre, e non vi è nessuna localizzazione tipica dell’aumento di spessore. Nella Cardiomiopatia Ipertrofica, l’ipertrofia è definita "primaria", ovvero non è la conseguenza di un’altra malattia, ma è invece dovuta ad un difetto genetico, al microscopio, il muscolo cardiaco nella solitamente mostra alcune anormalità particolari, la più evidente delle quali viene chiamata disorganizzazione (disarray) delle cellule muscolari cardiache (miociti) in cui il normale allineamento parallelo delle cellule è andato perduto e molte delle cellule muscolari sono disposte in modo caratteristicamente caotico e disorganizzato. È probabile che questa disorganizzazione delle cellule interferisca con la normale trasmissione elettrica degli impulsi e predisponga alcuni pazienti a irregolarità del ritmo cardiaco o anche a una alterata contrazione del cuore. Studi recenti condotti negli Stati Uniti suggeriscono che la Cardiomiopatia Ipertrofica (HCM) è una malattia più frequente di quanto non si credesse. Si stima che, attualmente, nella popolazione generale 1 individuo su 500 o 1 su 1000 sia affetto da HCM. Queste stime sono relative a soggetti adulti nei quali la Cardiomiopatia Ipertrofica è diagnosticabile con l’ecocardiografia. Bambini o individui adulti possono però anche essere portatori del gene mutante per la Cardiomiopatia Ipertrofica senza manifestare i segni clinici della malattia (l’ipertrofia). Nella letteratura medica, la Cardiomiopatia Ipertrofica è stata riportata come più frequente negli uomini che nelle donne (circa 60% rispetto al 40%). In realtà, dato che la Cardiomiopatia Ipertrofica è una malattia genetica trasmessa con meccanismo di tipo autosomico dominante, è presente in uguale misura negli uomini e nelle donne. Questo indica che la Cardiomiopatia Ipertrofica è diagnosticata meno frequentemente nelle donne rispetto agli uomini. Le ragioni di tale fenomeno sono incerte. Tuttavia, vi è ora una qualche evidenza che le donne con Cardiomiopatia Ipertrofica sviluppino sintomi e vengano diagnosticate più tardi, e possono avere conseguenze più gravi della loro malattia rispetto agli uomini. La modalità con cui la Cardiomiopatia Ipertrofica si trasmette si definisce autosomica dominante. Questo significa che vi è il 50% delle probabilità, a ogni gravidanza, che la malattia (e il gene mutante) venga trasmessa al nascituro. Quindi, la probabilità che un soggetto affetto trasmetta ai figli l’alterazione genetica è statisticamente stimata 1 su 2. In ogni caso, la trasmissione autosomica dominante non implica necessariamente che, se un individuo ha 4 figli, due di essi saranno sicuramente malati; questa è soltanto una probabilità statistica. Di fatto potrebbero essere tutti sani o all’opposto 4 su 4 malati. Alcuni individui con la Cardiomiopatia Ipertrofica vengono classificati come casi "sporadici", ovvero, nessuno dei loro familiari risulta essere affetto dalla malattia. L’assenza della malattia in una generazione ("genetic skipping") è rara e si verifica quando un individuo che è portatore dell’alterazione genetica non mostra segni della malattia all’ecocardiogramma. In tali circostanze, il gene mutante di fatto non "salta" una generazione - in realtà il gene della Cardiomiopatia Ipertrofica in quell’individuo semplicemente non viene espresso in modo completo, cioè nel modo in cui la malattia è dimostrabile attraverso un esame ecocardiografico Sono state descritte più di 140 mutazioni in 10 geni che codificano per proteine implicate nella contrazione cardiaca. Il gene più frequentemente coinvolto sembra essere MYH7 che codifica per la catena pesante della beta-miosina cardiaca. (Fig 1)

TABELLA I

Ablazione alcolica del setto nella cardiomiopatia ipertrofica
Da alcuni anni, come alternativa all’intervento chirurgico, è stata proposta una tecnica di ablazione percutanea del setto interventricolare mediante iniezione selettiva di alcuni ml di alcool in un ramo settale dell’arteria interventricolare anteriore . L’indicazione a questa tecnica terapeutica della cardiomiopatia ipertrofica sono : ( fig2 )
1. Sintomi in classe NYHA III o IV in nonostante il trattamento farmacologico
2. Un gradiente interventricolare di base di almeno 50 mmHG (Fig 2)


Figura 1



Figura 2

Tecnicamente la procedura non presenta particolari difficoltà in mani esperte.
Viene posizionato un catetere guida per angioplastica coronarica nell’ostio della coronaria sinistra, un altro catetere viene avanzato all’apice del ventricolo sinistro, ed un catetere stimolatore provvisorio viene inserito nel ventricolo destro. Si monitorizzano in contemporanea le curve di pressione in ventricolo sinistro e in aorta per valutare il gradiente intraventricolare. Il ramo settale che sembra irrorare il territorio del setto basale viene selettivato con un filo guida da angioplastica coronarica e con un catetere a palloncino tipo over-the-wire di diametro lievemente superiore a quello del ramo settale. Il gonfiaggio del palloncino nel ramo settale permette una iniezione selettiva di farmaci, mezzo di contrasto o alcool, evitandone il reflusso nell’arteria interventricolare anteriore. ( FIG 3)

Figura 3

L’alcool determina immediata necrosi miocardica nel territorio perfuso dal ramo settale iniettato. La perdita della funzione contrattile della porzione basale del setto causa una abolizione del contatto tra valvola mitrale e setto in sistole ed una conseguente una riduzione od abolizione del gradiente. La sostituzione del miocardio necrotico con tessuto cicatriziale e successivi fenomeni di rimodellamento possono determinare un progressivo assottigliamento del setto ed ulteriore riduzione del gradiente durante il follow-up.
Il punto cruciale della tecnica è la scelta del ramo settale in cui iniettare l’alcool. Nelle prime esperienze, il ramo settale veniva scelto unicamente su base angiografica, ovvero sulla base delle sue dimensioni e della sua localizzazione anatomica.In alternativa, la scelta si basava sulla valutazione dell’effetto dell’iniezione selettiva di farmaci isotropi negativi o dell’ischemia causata dal prolungato gonfiaggio del palloncino.
La valutazione ecocontrastografica del territorio di distribuzione del ramo - o dei rami - settali come mezzo per la scelta della sede di iniezione dell’alcool ha rappresentato un notevole passo avanti nell’accuratezza e nella sicurezza della procedura. Secondo questa tecnica, attraverso il lume del palloncino si inietta nel ramo settale mezzo di contrasto per ecocardiografia (Levovist, Schering, 350 mg/ml o Albunex, Mallinckrodt, diluizione 50%) e si visualizzano, con ecocardiogramma transtoracico, le strutture miocardiche irrorate dal ramo settale. Se il mezzo di contrasto si distribuisce esclusivamente sul setto basale, nel punto di contatto sistolico con i lembi mitralici, in corrispondenza della massima accelerazione del flusso valutata al color-Doppler (Figura 4)
La successiva iniezione di alcool provoca una necrosi selettiva dell’area miocardica responsabile della genesi dell’ostruzione all’efflusso. Quando l’ecocontrasto dimostra invece un territorio di perfusione del ramo settale che coinvolge altre strutture miocardiche, quali il muscolo papillare o la parete libera del ventricolo sinistro, è necessario cercare di selettivare un altro settale o una sua diramazione secondaria con esclusiva distribuzione nella zona bersaglio


Figura 4

Talvolta questo non è possibile; in altri casi, il territorio irrorato, seppur limitato al setto basale, ha una estensione troppo modesta e la successiva ablazione non provoca una sufficiente riduzione dell’ostruzione.
Vari registri clinici su i pazienti trattati con questa tecnica ( circa 1500 pazienti ) hanno dimostrato che l’alcolizzazione del setto nella cardiomiopatia ipertrofica e’ una tecnica a rischio basso , che l’incidenza dell’impianto di un PMK definitivo si è ridotta a circa il 7 % dopo l’introduzione dell’uso dell’ecocontrasto e che le temute complicanze aritmiche e di rimodellamento ventricolare sinistro sono particolarmente rare.
Va comunque ricordato che attualmente non abbiamo dati clinici che fanno presupporre che questa tecnica sia in grado di migliorare la sopravvivenza di questi malati. . Il suo utilizzo viene quindi riservato unicamente al fine di migliorare la qualità di vita di questi pazienti
L’ablazione alcolica del setto nella cardiomiopatia ipertrofica è quindi da considerare un nuovo presidio terapeutico meno invasivo miectomia chirurgica per una malattia spesso invalidante .
Va comunque ricordato che questa tecnica non è scevra di complicanze e deve essere riservata solo a coloro che siano particolarmente sintomatici nonostante una adeguata terapia medica