E' TEMPO DI MANDARE IN PENSIONE GLI ATTUALI ANTICOAGULANTI ORALI ?

Sabino Scardi
Centro Cardiovascolare Azienda Sanitaria Triestina

Introduzione
L'attuale trattamento anticoagulante ha rilevanti limitazioni: gli anticoagulanti orali richiedono molto tempo per iniziare ad essere efficaci, il loro metabolismo dipende anche da aspetti genetici, interagiscono con numerosi farmaci ed alimenti, il loro dosaggio prescrittivo è molto individuale e soprattutto richiedono il monitoraggio seriato del tempo di protrombina.
Dopo 50 anni dall'introduzione terapeutica del warfarin si presenta ora una nuova possibilità per anticoagulare i pazienti che ne abbiano bisogno: l'uso degli inibitori diretti della trombina.
Gli inibitori diretti della trombina rappresentano un nuova classe di farmaci anticoagulanti molto promettenti per la profilassi degli eventi tromboembolici. La trombina ha un ruolo essenziale nella coagulazione perché rappresenta l'ultimo passaggio della cascata coagulativa convertendo il fibrinogeno in fibrina, inoltre attiva il fattore XIII, amplifica il segnale coagulativo, e promuove l'aggregazione piastrinica. L'irudina è stato il primo inibitore diretto della trombina cui altri sono seguiti come il melagatran, sfortunatamente queste molecole possono essere utilizzate esclusivamente per via parenterale, e solo recentemente si è reso disponibile il primo inibitore orale diretto della trombina: lo ximelagatran.
LO XIMELAGATRAN
E' un pro-farmaco sintetico, con peso molecolare di circa 400 Da, che può essere somministrato per via sia sottocutanea sia orale. Se somministrato per via orale passa rapidamente la barriera gastrointestinale, senza alcuna interferenza alimentare, trasformandosi in melagatran, forma attiva, attraverso due intermediari: OH-ximelagatran ed ethyl-melagatran. Il melagatran è un efficace inibitore sia della produzione sia dell'attività trombinica; presenta t max di 1.5 ore, emivita di 2.5-3.5 ore, biodisponibilità (indipendente da dosaggio, sesso, età, razza e massa corporea) di ~ 20% ed è eliminato con le urine. Il metabolita attivo -melagatran- ha un legame con le proteine plasmatiche <15 %, una clearance renale dell'80%, un t max 0.5 ore, un'emivita di 1.5-2 ore nei soggetti sani ed possiede bassa variabilità individuale (15%). Il melagatran ha una farmacocinetica pressoché scontata: l'inizio d'azione è rapido e altrettanto rapidamente s'interrompe: è attivo nei confronti sia della trombina libera sia di quella trombo-adesa indipendentemente dall'AntiTrombina III o dai fattori neutralizzanti l'eparina (10). Lo ximelagatran non causa trombocitopenia, e non necessita di alcun monitoraggio laboratoristico, neppure in pazienti con modesta epatopatia (2). Il suo metabolismo non è influenzato dagli isoenzimi CYP 450 per cui interferisce poco con gli altri farmaci. La funzione renale regola la sua eliminazione indipendentemente da età, sesso, razza, massa corporea (1).
Fager et al (3) hanno valutato le possibili interferenze tra melagatran e aspirina in soggetti sani. L'aspirina non influenzava le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche del melagatran cosicché è possibile e razionale la loro associazione nei pazienti con cardiopatia ischemica. Anche l'interazione tra melagatran e amiodarone è stata studiata in 26 volontari sani: la farmacodinamica del melagatran non é influenzata dall'amiodarone, mentre quella del melagatran é scarsamente influenzata dall'amiodarone, pertanto non sono necessari aggiustamenti di dosaggio se usati in associazione (4).
TRIAL CLINICI
Il rischio di sviluppare un trombo è correlabile a pressoché innumerevoli fattori di rischio, e tra questi: ipercoagulabilità, stasi ematica, danno della parete vascolare e/o rottura della placca. In generale, se la trombosi è d'origine venosa è opportuna la terapia anticoagulante, se d'origine arteriosa è necessaria quella con antiaggreganti e anticoagulanti.
Il melagatran è stato usato con successo nella prevenzione (5) e nel trattamento della trombosi venosa profonda (6). Una dose orale fissa per 6 mesi, senza monitoraggio della coagulazione, è stata altrettanto efficace dell'enoxiparina o del warfarin nella prevenzione primaria della trombosi venosa profonda e, comparata al placebo, ha ridotto in maniera significativa l'incidenza di recidive (2.8% vs. 12.6%; P<0.001). Recentemente il melagatran è stato utilizzato anche in alcune patologie cardiache: nella profilassi tromboembolica della fibrillazione atriale non reumatica e nel trattamento della cardiopatia ischemica.
FIBRILLAZIONE ATRIALE
La fibrillazione atriale non reumatica (FANR) è gravata da un discreto rischio tromboembolico. La metanalisi di Hart (7) ha dimostrato che l'uso del warfarin riduce il rischio di stroke del 62% (IC 95%: 48-72%), mentre l'acido acetilsalicilico lo riduce solo del 22% (IC 95%: 2-38%). Il rischio assoluto di stroke è per il warfarin di 1.6%pazienti/anno nella prevenzione primaria e di 2.5% pazienti/anno in quella secondaria. In confronto all'acido acetilsalicilico, il warfarin riduce il rischio del 36% (IC 95%: 14-52%). Il trattamento anticoagulante orale (TAO) é opportuno non solo nelle forme permanenti, incluse quelle in cui si riesca a ripristinare il ritmo sinusale, ma anche in quelle parossistiche, come dimostrato dallo studio AFFIRM (8).
La profilassi anticoagulante é però piena di difficoltà come la compliance dei pazienti, l'attendibilità del laboratorio, la gestione globale del trattamento da parte di personale esperto, e -più in generale- l'efficienza dei sistemi di cura offerti alla popolazione. In definitiva l'interazione medico-paziente-laboratorio-sistema di cura riveste un ruolo principale nella decisione di prescrivere la TAO. Infatti, nella corrente pratica clinica la TAO nei pazienti con FANR è ancora inadeguata, perché ritenuta pericolosa o troppo complessa da gestire (9). Solo il 9.9-48.4% dei pazienti con FANR segue la profilassi anticoagulante (10). Perciò, nonostante il loro maggiore utilizzo, osservato dopo la pubblicazione dei grandi trial, i farmaci antitrombotici sono comunemente sotto utilizzati con motivazioni varie (10), una di queste induce a non prescrivere la TAO ai pazienti più anziani. Proprio quelli che, in base alle linee guida costituendo la fascia a più elevato rischio tromboembolico, maggiormente se ne gioverebbero.
Per favorire la maggiore diffusione della TAO sono stati proposti, accanto a quello tradizionale, nuovi modelli gestionali: le unità centralizzate, la gestione informatizzata, il prelievo capillare e l'autogestione (11). L'unità centralizzata assicura una gestione globale ed efficace della TAO. La recente possibilità del prelievo capillare con determinazione immediata dell'I.N.R. ha favorito lo sviluppo di nuovi modelli gestionali favoriti dall'utilizzo di apparecchiature portatili presso le stesse unità centralizzate, i centri cardiologici, i distretti e persino gli ambulatori dei medici di medicina generale, autogestione parziale o totale della terapia da parte dei pazienti disponibili, dopo un adeguato periodo di addestramento.
La scoperta dello ximelagatran ha aperto nuovi orizzonti per la gestione antitrombotica dei pazienti con FANR. Per verificarne l'efficacia Petersen et al. (12) hanno studiato un gruppo di pazienti con FANR trattati per 12 settimane, con 20, 40 o 60 mg di ximelagatran due volte al giorno (somministrato in doppio cieco a 187 pazienti ) in confronto con warfarin (67 pazienti). Nei pazienti trattati con ximelagatran si sono verificati un TIA ed un attacco ischemico cerebrale non fatale, in quelli trattati con warfarin due TIA. Nessuna emorragia maggiore si è verificata nei trattati con ximelagatran, una invece nei trattati con warfarin. Le emorragie minori si sono verificate in 4, 5 e 7 pazienti in trattamento con 20, 40, 60 mg di ximelagatran, rispettivamente; in 6 pazienti in trattamento con warfarin.

























Figura 1: Incidenza di embolia sistemica e di stroke secondo l'analisi intention to treat ( Modificata da Olsson SB) (13)





















Figura 2: Incidenza di embolia sistemica e di stroke secondo l'analisi in trattamento( Modificata da Olsson SB ) (13)





















Figura 3: Incidenza di embolia sistemica e di stroke secondo l'analisi intention to treat
( Presentata all'AHA 2003 ) (14)






















Figura 4: Incidenza di morte, infarto non fatale e ischemia ricorrente secondo l'analisi intention to tre
( Midificata da Wallentin L ) (20)





















Figura 5: Incidenza di morte cardiovascolare,infarto miocardico,stroke ischemico ed ischemia ricorrente tra placebo e tutti i trattamenti con ximelagatran ( Modificata da Wallentin L ) (20)

Otto dei pazienti trattati con ximelagatran hanno presentato un aumento delle transaminasi dopo 4-8 settimane, non dose correlato pare, in 5 di questi le transaminasi si sono normalizzate pur proseguendo il trattamento, in 3 solo dopo la sospensione del farmaco. Perciò questo studio ha dimostrato che 60 mg di ximelagatran possono essere somministrati con sicurezza nei pazienti con FANR senza alcun monitoraggio laboratoristico della coagulazione.Recentemente sono stati pubblicati i risultati dello studio SPORTIF III (13). Questo studio ha incluso 3.407 pazienti con FANR ed un fattore di rischio associato (pregressa embolia centrale/ periferica, ipertensione arteriosa, età>75 anni o se>65 anni con diabete o malattia coronarica); 259 centri in 23 paesi dell'Europa, Asia e Australia hanno partecipato allo studio. In aperto i malati sono stati randomizzati a ricevere 36 mg di ximelagatran due volte al giorno (1.704 pazienti) o warfarin (1.703 pazienti) per 17 mesi. L'analisi intention to treat dei risultati non ha dimostrato significative differenze fra i due trattamenti. Infatti la percentuale dei pazienti con stroke o embolia periferica è risultata del 2.3/anno nel braccio warfarin e del 1.6/anno nel braccio ximelagatran Fig 1 ). L'analisi on treatment ha dimostrato una significativa (P=0.018) minor frequenza di eventi tromboembolici con melagatran (1.3%/anno) che con warfarin (2.3%/anno) ( Fig 2 ). Anche per il rischio emorragico non state osservate differenze significative, e questo sia per le emorragie intracraniche (ximelagatran: 0.2; warfarin: 0.5%/anno) sia per quelle maggiori (ximelagatran: 1.3; warfarin: 1.8%/anno). La mortalità è risultata sovrapponibile nei due trattamenti (3.2 % /anno).
Il 6.5% dei pazienti trattati con ximelagatran mostrano invece un incremento delle transaminasi epatiche (tre volte superiore ai valori normali ) nei primi 2-6 mesi.
Sulla base dei risultati degli studi SPORTIF II e III è stato iniziato lo SPORTIF V (14) che riproponendo il medesimo protocollo, ma in doppio cieco, ha coinvolto 3922 pazienti con FANR negli Stati Uniti e Canada. I risultati preliminari dello studio sono stati riferiti all'ultima sessione del congresso 2003 dell'American Heart Association: dopo 24 mesi di follow-up con l'analisi intention-to-treat è stata dimostrata la non inferiorità dello ximelagatran rispetto al warfarin, infatti la frequenza di eventi osservata è risultata dell'1.6%/anno con ximelagatran vs. 1.2%/anno con warfarin (P=0.13) ( Fig 3 ). Anche in questo studio non sono state riscontate differenze significate riguardo le emorragie intracraniche o le quelle maggiori, mentre la percentuale totale, emorragie maggiori e minori, è risulta statisticamente più elevata con warfarin (47% vs. 37% p < 0.0001).
Complessivamente, i risultati dello SPORIV III e SPORTIF V indicano una frequenza di eventi embolici per anno del 6.2% con warfarin e del 5.2% con ximelagatran (P=0.038) ed una riduzione del rischio relativo del 16%(Fig 4).
In conclusione i risultati di questi due ampi studi confermano che lo ximelagatran è altrettanto efficace del warfarin nella prevenzione tromboembolica dei pazienti con FANR, determina minori emorragie e soprattutto non ha alcuna necessità di monitoraggio. Il Centro studi ANMCO ha in corso una ricerca usando lo ximelagatran nei pazienti con FANR, dimessi da alcune divisione mediche e cardiologiche italiane.
LA CARDIOPATIA ISCHEMICA
Tra le conseguenze della rottura della placca vi è anche l'attivazione del fattore X e per ogni molecola di Xa formata vengono liberate centinaia di molecole di trombina che può generare trombi. Molte sostanze sono in grado d'interferire in questo processo negativo: l'eparina non frazionata, quella a basso peso molecolare, gli inibitori del fattore tissutale e gli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa.
Le sindromi coronariche acute, compresa l'angina instabile con o senza ST elevato, sono trattate spesso anche con antiaggreganti (aspirina, clopidrogel) e anticoagulanti in associazione. L'uso dell'eparina induce una modesta, ma significativa riduzione di eventi. Lo studio FRISC, con deltaeparina, ha dimostrato la riduzione dei MACE (Major Adverse Cardiac Events); quello ESSENCE, con enoxieparina, negli IMA non Q la riduzione delle recidive d'eventi ischemici (15); quello ASSET, con enoxieparina, la riduzione della probabilità di morte rispetto all'eparina non frazionata, e con una minore frequenza di emorragie rispetto all'associazione eparina/ASA (16).
I risultati degli studi ASPECT 2, APRICOT 2 e WARIS 2, in cui il warfarin è stato utilizzato da solo o con ASA, suggerisce la possibilità di una riduzione del rischio relativo di eventi dal 25 al 55% quando si utilizzi l'associazione warfarin-ASA (17-18).
Nello studio WARIS II, in particolare, il warfarin ha ridotto significativamente la mortalità per re-infarto e gli eventi cardiovascolari nei 4 anni di follow-up, e l'associazione warfarin ed ASA ha ulteriormente migliorato il risultato precedente, ma con maggior incidenza di emorragie (19).
Recentemente è stato pubblicato lo studio ESTEEM (20), studio in fase II: 1.883 pazienti sono stati arruolati entro 14 giorni dopo una sindrome coronarica acuta, con marker elevati di danno cardiaco, e randomizzati ad assumere ASA 160 mg e placebo o ASA 160 mg e ximelagatran alle dosi di 24, 36, 48 o 60 mg due volte al giorno. Dopo 6 mesi di trattamento è stata osservata, per l'end point primario composito (morte, recidiva d'infarto, e severa ischemia ricorrente), una riduzione del rischio relativo del 24% nel braccio ximelagatran (ASA e placebo: 16.3; ASA e ximelagatran 12.7%) ( Fig 5 ). Non sono state osservate differenze tra i diversi dosaggi di ximelagatran utilizzati ( Fig 6 ). I sanguinamenti totali (maggiori e minori) sono risultati: braccio con placebo 13.2 e braccio con ximelagatran 21.9%. Non sono state osservate differenze significative riguardo i sanguinamenti maggiori, che sono stati meno frequenti al dosaggio di 24 mg. Anche questo studio ha confermato un incremento delle transaminasi dose-correlato (6.5% dei pazienti con il dosaggio più basso, 12.2% e 13.3% con quelli più alti), che compariva da 2 a 6 mesi dall'inizio del trattamento, e che talora regrediva dopo 1-3 mesi sia che si proseguisse o si sospendesse il melagatran.
In conclusione da questa ricerca emerge che ximelagatran associato ad ASA è più efficace del solo ASA nel trattamento dei pazienti con sindromi coronariche acute; il dosaggio di 24 mg è il migliore compromesso tra il massimo dell'efficacia e della sicurezza. Tuttavia, la definitiva conferma di questi risultati potrà avvenire dopo la realizzazione di uno studio di fase III condotto su un'ampia popolazione.

CONCLUSIONI
Ximelagatran ha una efficacia simile al warfarin sia nella profilassi dell'tromboembolica venosa sia in quella dell'ictus in corso di fibrillazione atriale non valvolare, ed è più efficace della sola aspirina nel ridurre gli eventi coronarici dopo recente sindrome coronaria acuta. La frequenza delle complicazioni emorragiche è simile o inferiore al warfarin. Perciò questo farmaco verosimilmente sostituirà, in molte patologie, la terapia anticoagulante convenzionale e permetterà di estendere l'uso di questa terapia, rendendo contemporaneamente più semplice la gestione dei pazienti, in particolare di quelli più anziani.
I maggiori costi del farmaco potranno essere compensati dal risparmio dovuto all'inutilità del monitoraggio dell'INR. Ulteriori approfondimenti sulla sicurezza a lungo termine sono necessarie, con particolare riguardo all'incremento delle transaminasi.

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